AMORE E RABBIA. Solo amore: ecco una proposta per valorizzare la “città d'acqua”
Una parte del suo litorale è rimasta terra di nessuno
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Proprio l'altro giorno, mentre lentamente e non senza fatica, compivo s'arziara del viale Margherita verso piazza Costituzione, sono stato fermato, all'altezza della piazzetta, da una coppia di gentili signori: «ma lei - mi chiesero - è quel Paolo Fadda che scrive su l'Unione Sarda della nostra città, dandone un'immagine così negativa, quasi fosse un innamorato tradito e abbandonato?». Aggiungendo ancora, alla mia risposta affermativa, «non le pare più giusto ed opportuno, allora, il passare da una critica alla Gino Bartali (“l'è tutto da rifare…”) ad una fase propositiva, su cosa sia meglio fare per ridare lustro a Cagliari?".
HANNO RAGIONE Quei bravi signori, marito e moglie, non avevano poi del tutto torto, dato che è assai più facile criticare che fare, come insegnano anche molte cronache dei nostri giorni. Purtroppo anch'io, per la verità, non m'ero sottratto del tutto a quella moda, indulgendo più nel disapprovare atteggiamenti che a dare dei suggerimenti. Eppure qualcosa di positivo l'avevo pur detta, indicando come la città d'oggi si trovasse dinanzi ad un delicato “turning point”, un punto di svolta, non diversamente da quello affrontato dalla giunta Bacaredda nei decenni finali dell'800, allorché si decise di voltare le spalle alla vecchia city nobiliare appollaiata in Castello per progettare una nuova town borghese, riaffacciata sul golfo e spalmata in pianura, nei luoghi romani.
SU COSA PUNTARE Cercherò quindi di dire qualcosa su quale svolta occorrerebbe oggi puntare. Sarei dell'avviso che nel suo futuro, non diversamente dal passato, ci possa o ci debba essere un “riaffaccio” sul mare. Cioè a quella straordinaria risorsa che fa di Cagliari l'ombelico del Mediterraneo. Perché la città dovrebbe tornare ad essere, a pieno titolo, una “città d'acqua”, alla pari di Genova, di Barcellona o di Marsiglia. Si è detto “d'acqua” a bella posta, perché le acque di Cagliari non sono solo quelle del porto e del golfo ove si specchia, ma sono anche quelle, ferme, delle sue due grandi lagune (Santa Gilla e Molentargius) con cui dovrà sempre meglio relazionarsi.
Vi è infatti in atto, un po' dovunque (in Europa, come nelle Americhe ed in Asia), una tendenza a recuperare il rapporto delle città con l'acqua che le lambisce e le caratterizza. In modo da riconsegnare all'uso sociale le vecchie banchine ed i docks in disuso, ridando così fruibilità ad un rapporto - fisico ed anche visivo - fra il cittadino e il mare. Proprio perché è questo l'elemento che può dare una particolare ed originale valorizzazione estetica, un plus di fascino e d'attrazione alle città che ne hanno la disponibilità. Trasformandosi da strumento d'impresa (il porto commerciale) ad eccellenza paesaggistico-ambientale (vedi ad esempio Barcellona).
RIEMPIRE IL DIAFRAMMA Certo, bisognerebbe rompere decisamente quel diaframma, non solo spirituale ma anche fisico, che s'è formato da noi fra la città costruita ed il mare. Per questo bisognerebbe non dimenticare che anche i diversi piani urbanistici del '900, solo raramente e mai compiutamente, hanno ricercato omologazioni od integrazioni con il fronte-mare (con il porto, il litorale, gli stagni, i canali, ecc.). Al contrario, pian piano le direttrici dell'espansione cittadina si sarebbero indirizzate altrove, lontane dal mare e dagli stagni, lasciandone i litorali come terra di nessuno. Così il fronte-mare cittadino, da San Paolo a Sant'Elia, è rimasto quanto di più confuso ed incongruo (per funzioni e tipologie di un mal costruito) si possa pensare. Non mi è facile comprendere quali ne siano state le cause, ma è certo che l'argomento non fu mai posto in bell'evidenza nell'agenda delle amministrazioni cittadine. Avendo permesso ad altri - alle autorità portuali, ferroviarie, demaniali e militari -, per indifferenza, acquiescenza o dabbenaggine, la possibilità di fare, di quel lungo litorale, “roba loro”. Sottraendolo così ad una cittadinanza, rimasta peraltro indifferente o disinteressata di fronte a cotanta usucapione.
PIOVENE Proprio su questo, lo scrittore Guido Piovene, in un suo intrigante reportage letterario su Cagliari, avrebbe notato come i cagliaritani gli fossero parsi «senza amore alcuno» per il loro mare, quasi insensibili, od anche estranei, di fronte allo spettacolo dello loro paradisiaca Baia degli Angeli, capace di sfidare in emozioni e bellezza quella famosissima di Rio. Occorrerebbe quindi ricostruire quel legame antico in modo da superare quella dicotomia urbanistica che fa pencolare Cagliari fra un modello di “città-colle” stile Urbino ed uno di “città-lineare” tipo Ferrara. Modelli incongrui, per quel che si capisce, per una città di mare. Ci sarebbe dunque da ripensare, con una differente narrazione urbanistica, tutto il water front cittadino - quel lungo litorale che collega le due lagune di levante e di ponente - per farne un punto d'eccellenza cittadina.
Ricorderò in proposito che qualche anno fa, a Venezia, si svolse un importante convegno internazionale proprio sul futuro degli assetti architettonici nelle città d'acqua o, meglio, su quali atouts urbanistici si dovesse puntare per ridare loro un nuovo splendore, dopo il declino della portualità ottocentesca con il passaggio dalla marineria “delle rinfuse” a quella dei porta-container. Ora, non sarebbe quindi un'idea da coltivare che anche a Cagliari, in un'auspicabile resipiscenza di cultura cittadina, si pensasse a qualcosa del genere, mobilitando intelligenze e saperi d'ogni dove, per trasferirci conoscenze, idee ed esempi capaci di metter su un piano di riqualificazione urbanistico-architettonico-ambientale del nostro intero sistema-acqua?
NARRAZIONE UNITARIA Un'iniziativa del genere, se mal non penso, servirebbe anche a far capire che a Giorgino, al campus universitario, alla promenade della via Roma, allo stadio ed al borgo di Sant'Elia, occorrerebbe dare una narrazione unitaria e non dei singoli e sbrindellati interventi architettonici. Sono infatti convinto che dovrà essere proprio l'acqua - quella “de su mari biu” e quelle morte delle due lagune - su cui dover puntare per rigenerare, urbanisticamente e paesaggisticamente, la città, dandole così un nuovo grande futuro.
Paolo Fadda