Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il campione che (non) verrà

Fonte: L'Unione Sarda
17 ottobre 2008

Professionismo esasperato, assenza di sponsor, crescita zero, isolamento: la Sardegna perde terreno

Sempre più difficile varcare i confini dell'isola

Zola è stato forse l'ultimo fuoriclasse di una terra che in tutti gli sport ha saputo produrre campioni
Ascanso di equivoci l'ha scritto a chiare lettere nella home page del suo sito internet: “unica pallavolista sarda in azzurro”. Questa debolezza se l'è concessa (ma poteva permettersela) Rosanna Baiardo, la più forte di sempre. Talmente forte da non aver avuto eredi. Talmente forte che era approdata in Nazionale, quella vera, quando ancora giocava nel torneo di serie B, nella Silvio Pellico di Sassari di Giampaolo Galleri. Talmente forte che, per un certo periodo, la centrale nata a Sassari nel 1962, era stata la giocatrice italiana più pagata. Brave così la mamma non ne fa più: e mai ne farà perché la Baiardo ha collezionato 119 presenze in maglia azzurra, con la quale ha giocato Mondiali, Europei, Universiadi, Coppe del Mondo e Giochi del Mediterraneo, quest'ultima competizione l'ha pure vinta. Anche il basket, femminile, vive ormai soltanto di ricordi: quelli legati alle cestiste cagliaritane, la compianta Marisa Sannia e Silvana Lenzu, che appartengono a una pallacanestro lontana. Quasi romantica, forse anche un pizzico leggendaria. L'ultimo acuto è stato quello di un'altra grande dello sport sassarese, Nunzia Serradimigni, azzurra dei canestri a Mosca 1980. Al fuoco di Olimpia si sono scaldate soltanto altre tre ragazze di Sardegna: Daniela Porcelli, Anna Rita Angotzi e Valentina Uccheddu, tutte e tre atlete, scuola Cus Cagliari di Pompilio Bargone la prima, scuola Atletica Oristano di Francesco Garau le altre due. Ma anche queste sono storie di ieri e avantieri. La Sardegna, che sembra avere una preferenza per l'altra metà dello sport, cioè quella del cosiddetto sesso debole, non produce campioni di livello internazionale. L'ultimo è stato forse uno dei più grandi di sempre: Gianfranco Zola, ultimo di una lunga stirpe di fuoriclasse del pallone. Citando a memoria e in ordine sparso: Antonello Cuccureddu, Gianfranco Matteoli, Pietro Paolo Virdis, Luigi Piras, Vittorio Pusceddu, Gianluca Festa, ma anche i fratelli Piga, Renato Copparoni, Marco Sanna. Una Nazionale (italiana) vera e propria, una squadra da scudetto o almeno da Coppa Uefa. Ricordi anche questi. Per non parlare della boxe: finite l'epoche irripetibili dei grandi pugili sardi del passato, da Franco Scano a Piero Rollo, da Franco Udella a Fernando Atzori, ultima medaglia d'oro sarda all'Olimpiade di Tokyo 1964. Oggi l'arte nobile si aggrappa a Simone Maludrottu e Andrea Sarritzu in una disciplina che però stenta a trovare volti nuovi ovunque, in Italia come nel mondo: forse perché è proprio la faccia che i pugili ci devono mettere, con il rischio di farsela devastare dai cazzotti. Altre discipline, come il nuoto, non sono mai arrivate in alto: forse soltanto Corrado Sorrentino ha superato i confini delle Alpi, ma a livello giovanile. E, sempre a livello giovanile, il tennis sardo - dopo i successi a livello internazionale universitario di Angelo Binaghi (oggi presidente della federazione nazionale) ha avuto il suo momento di gloria con Stefano Mocci e Anna Floris. Poi il buio. E, tornando all'atletica, l'ultimo grande di una inesauribile generazione di fenomeni è stato Nicola Trentin, azzurro ai Giochi di Atene 2004, ma proprio la regina di Olimpia - dopo tante partecipazioni a cinque cerchi - sembra aver esaurito una vena straordinaria che va da Tonino Siddi ad Antonio Ambu fino ai velocisti contemporanei Sandro Floris e Gianni Puggioni, straordinari perché di pelle bianca in un territorio popolato da atleti di colore. C'è anche quell'Andrea Mura che può vantarsi di aver contribuito ai trionfi del Moro di Venezia nella prestigiosa Coppa America di vela. Beh, a pensarci bene non è poi così male: la Sardegna non ha mai sfigurato, ma ce n'è sempre meno. Per un motivo molto semplice: il mondo che sembra sempre più piccolo è in realtà molto più grande. Lo sport lo si fa ovunque, arrivare ai vertici è sempre più difficile. Disse anni fa Claudio Velluti, uno dei grandissimi dello sport cagliaritano perché, alla vigilia dei Giochi di Roma 1960, c'erano due commissari tecnici che se lo contendevano, quello della pallacanestro e quello dell'atletica leggera: «Mio figlio è sicuramente più bravo di me, ma quando giocavo a basket io, in Italia a farlo eravamo 15.000 adesso sono 150.000». E nel mondo, se vale il rapporto di uno a dieci, la concorrenza è spietata, insostenibile. Del resto, parlando del calcio, per arrivare a livelli mondiali bisogna avere la classe e il talento, oltre che la forza, l'eleganza e l'umiltà di un Gianfranco Zola, e pure lui ha avuto i suoi bei problemini a convincere i commissari tecnici di turno. A danneggiare - tra virgolette - la Sardegna sono stati altri due fattori: il primo è il professionismo sempre più esasperato, l'altro è il doping. Il primo, nella nostra cara isoletta, non è mai arrivato. Purtroppo: perché senza un'adeguata contropartita economica nessuno può permettersi il lusso di non pensare seriamente al proprio futuro bruciando gli anni migliori della propria esistenza. L'assenza della grande e media industria sul territorio regionale ha poi sottratto alla Sardegna le risorse economiche che gli altri hanno e la Sardegna (penalizzata anche dalla crescita zero) non avrà forse mai. La conseguenza è stata l'emigrazione di tanti talenti, soprattutto nell'atletica leggera: E questa è una ferita perché, nel caso di record o di titolo italiano, fa testo non la località di nascita ma la società di appartenenza, e della Sardegna - che subisce e subirà sempre il fatto di essere in mezzo al Mediterraneo - non c'è traccia. Anche il doping, sempre più spesso determinante per il raggiungimento di risultati sportivi straordinari, non è arrivato in Sardegna. Per fortuna: tranne qualche caso di presenza di derivati di hashish e marijuana nel sangue (causate da “canne” che non avevano certo lo scopo di innalzare la qualità delle prestazioni) gli atleti sardi sono rimasti fuori, puliti, candidi e immacolati. E questo è già un motivo d'orgoglio: poveri sì, ma belli. Dentro, non fuori. Aspettando il campione che (non) verrà.
NANDO MURA

17/10/2008