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Un fruscìo, rapido e ovattato, s'ode nell'ingarbugliata architettura di tubi innocenti che si estende sotto le gradinate di legno: la sagoma di un topo sparisce in un lampo, inghiottita dall'oscurità e dalle erbacce. È il suo regno, ancora per poco. Gli operai sono da qualche giorno al lavoro per denudare l'anfiteatro romano dall'abitino ligneo che gli era stato confezionato dodici anni fa. Doveva essere indossato per una stagione - per questo motivo la Soprintendenza ai Beni archeologici aveva dato il nulla osta - invece, complice il muso duro del Comune, è durato fino a oggi, quando l'incuria e la mancata manutenzione hanno presentato il conto: monumento inagibile, compromesso da una struttura oppressiva, con strascico di polemiche di stampo guelfi contro ghibellini fra carte bollate, denunce, processi.
PARADOSSI Non è una storia edificante, questa dell'anfiteatro. In troppi ci hanno gozzovigliato, cercando di trarne il profitto maggiore in tempi stretti, cercando dagli spalti gremiti il consenso popolare, barattando un'ospitata del Festivalbar come viatico per lanciare “Cagliari città turistica”. Mentre - è un paradosso - nei pieghevoli dell'azienda di soggiorno spiccava la foto dell'anfiteatro così come l'avevano lasciato i romani, golfo mistico con luce abbacinante sulla pietra calcare, e chi l'andava a cercare doveva solo intuirlo sotto l'imponente pastrano delle tribune.
NOTTI DI NOTE Certo, sono state belle stagioni di note di notte, concerti che hanno riempito le estati sudaticce dei cagliaritani con nomi al neon, facendo ritrovare l'eco dei tempi che furono quando il catino di viale Fra Ignazio rimbombava di popolo e musica. Ma il monumento non c'era più. E non ha senso dire che siccome era una discarica tanto valeva coprirlo con platea e gradinata, senza prendere troppe precauzioni. La verità è che si poteva fare l'uno e l'altro: preservare l'anfiteatro e farci spettacoli. Magari con strutture più idonee e meno invasive che, in altre parti d'Italia e del mondo, già esistevano ed esistono.
Nessuno va a cercare i colpevoli. Non lo fa Marco Minoia, soprintendente archeologo di Cagliari: «Non fa parte dei miei compiti. Dico solo che per dieci anni noi abbiamo costantemente perseguito lo smontaggio della struttura, con inutili tentativi di conciliazione, ma alla fine l'intervento autoritario lo ha imposto lo stato delle cose». Non punta il dito neppure Luisa Marras, assessore ai Lavori pubblici del Comune. «Non ci interessa, in passato sono state fatte delle scelte, noi guardiamo avanti per restituire il monumento alla città».
DESOLAZIONE Oggi, anno domini 2012, vedere da vicino com'è ridotto il monumento, e il cappotto che lo copre, dà una sensazione deprimente. Desolazione, abbandono. La squadra di operai ha già tirato via gran parte delle erbacce cresciute selvagge ad altezza del palco, le poltroncine divelte saranno rottamate, pezzo a pezzo le travi di legno vengono smontate. «Stiamo rimuovendo platea e primo anello, abbiamo già approvato il capitolo di spesa per togliere al più presto secondo e terzo anello. Facendo molta attenzione e lavorando in collaborazione con la soprintendenza perché solo una volta liberato da questa gabbia potremmo valutare quanto ha sofferto il monumento», spiega Luisa Marras.
Ma basta avventurarsi fra i legni marci e sconnessi per rendersi conto. Il piede di una ringhiera di metallo infilato nella “carne viva” della pietra secolare. Un metro quadrato di antico gradone tagliato con precisione chirurgica per far spazio a poderoso palo di sostegno. Piccoli plinti di cemento a contatto con la pietra. Un palo di legno - che per metà poggia sul calcare, l'altra sul vuoto, a sostegno di una parte del secondo anello - grava su un cunicolo. I cavi elettrici di terra sono già stati visitati dai ladri di rame. Travi di legno lamellare sotto il palco ormai consumate. Muffa nera e verde negli androni: il nuovo microclima ha creato muschi e licheni che aggrediscono la pietra; e le piantine cresciute non si possono estirpare a mano perché qualcuna ha affondato le radici nel calcare e servono mani da archeologo per non causare altri danni. Bisogna spogliare il monumento per gradi, non si sa quali conseguenza potrebbe avere lo shock termico del sole cocente sulla pietra vissuta per 12 anni nel buio.
DEGRADO «C'è una situazione di degrado, a occhio nudo si notano le gravi carenze di manutenzione. L'impressione del danno è considerevole», dice Minoia. «È stato trattato male, non era necessario offenderlo in questo modo» replica la Marras, che parla anche con cognizione di causa da laureata in archeologia. La partita vera adesso è fare un check up al malato e curarlo. Poi si vedrà. Nessuno esclude che possa tornare ad ospitare spettacoli. Minoia: «Salvaguardato il monumento, siamo pronti a discutere. Tra 15 giorni inauguriamo il teatro antico di Nora. È stata creata una struttura amovibile utilizzabile per 45 giorni all'anno. Il progetto all'inizio non andava bene, è stato corretto e abbiamo dato l'ok. Lo stesso si può fare con l'anfiteatro». L'assessore Marras: «Perché no? Studieremo eventuali strutture mobili per fare spettacoli». Fra qualche mese, davanti al monumento nudo con le ferite aperte, si potrà iniziare a riprogettare il sogno.
Sergio Naitza