SABATO, 11 OTTOBRE 2008
Pagina 2 - Fatto del giorno
Problemi anche per la Caritas: «La gente compra molto meno e quindi dona meno»
La vendita di alimentari è calata dello 0,6 per cento: il doppio della media nazionale
ALFREDO FRANCHINI
CAGLIARI. La dieta mediterranea farà pure bene ma è minacciata dall’inflazione. L’Istat certifica che i consumi nell’isola sono in stagnazione (0%) e, per la prima volta, la vendita di alimentari nella grande distribuzione in Sardegna è scesa dello 0,6%, (il calo nazionale è dello 0,3%).
Il dato è dell’Unioncamere che ha fatto questa rilevazione tra luglio e agosto scorso, comparandola ai risultati dell’anno precedente. La vendita dei generi alimentari era allora in calo mentre i prezzi in Sardegna salivano del 5,4%
Nonostante il dato negativo è da rimarcare che il fatturato di iper e supermercati sardi non solo ha tenuto ma è cresciuto del 4,8%, una percentuale che pone le strutture della grande distribuzione in una posizione davvero privilegiata nei confronti delle banche in considerazione della massa di liquidità quotidiana che si realizza nei 30 grandi magazzini, 18 ipermercati, 286 supermercati, 234 minimarket e 31 grandi superfici specializzate che operano in Sardegna. Un immenso mercato formato da 540 mila metri quadrati con 10.162 addetti. La crescita più intensa dei prezzi riguarda proprio l’alimentare ed è per questo - secondo Simone Girau dell’Adiconsum - che nell’isola si sia registrato un calo di vendite; 5,4% in più è la media degli aumenti che salgono al 6,2 per i prodotti freschi. Tra le categorie che hanno registrato i maggiori aumenti si ritrovano la pasta di semola (+40,1%), l’olio di semi (37,4%) e i biscotti (7,6%). Ma il latte Uht è balzato di dieci punti percentuali e le mozzarelle sono salite dell’8,7%. Si contraggono, invece, i prezzi di vendita dei primi piatti pronti (-6,2%), dell’olio di oliva di qualità media (-2,9).
«Il risultato è un aumento della povertà», spiega Marco Lai, responsabile della Caritas e del Fondo Antiusura. «I Centri di assistenza sono in difficoltà: c’è stato un crollo degli approvvigionamenti e noi siamo stati costretti a dare meno di quanto distribuivamo prima. Questo dipende dal fatto che le «buste» non sono più ricche come un tempo, proprio perché si compra di meno».
Un punto centrale è il modo di pagamento. I fatturati di molte grandi catene sono positivi anche perché sono sempre di più gli acquisti effettuati con carte di credito revolving emesse dalle finanziarie: in quel caso viene consegnata al cliente la carta con una discreta linea di affidamento, (si arriva anche a 3000 euro), e si può pagare la spesa a rate, magari passando da una cassa «riservata» nel grande market. «S’inizia col pagare la spesa a rate e si finisce nell’illegalità dopo aver fatto tappa da un usuraio», afferma Marco Lai.
E viene da pensare che i fatturati delle grandi catene sia così buono proprio perché queste aziende si sono trasformate a loro volta in società finanziarie. (E su questo tipo di credito ha preso le distanze anche la sede sarda di Bankitalia). Secondo l’Adiconsum, poi, i dati Istat sono sottostimati per via della composizione del paniere adoperato per il campionamento: «Ci sono voci che fanno sballare i calcoli per via della stagionalità o del tipo di alimento. La situazione sta precipitanto: secondo Bankitalia i sardi pagano i loro debiti, le sofferenze delle banche sono inferiori a quelle della altre regioni, ma sino a quando potranno pagare»?