Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Parco regionale di Molentargius, retroscena da un'incompiuta

Fonte: L'Unione Sarda
28 maggio 2012



di GIORGIO PISANO
La sala-conferenze del Parco regionale di Molentargius è occupata da oltre cinquanta giorni. Ventun precari, ai quali non è stato rinnovato il contratto dopo sette anni di lavoro rigorosamente incerto, dormono, vivono e mangiano tra le poltrone. Fortuna che tra loro c'è un operaio (Massimiliamo Barfucci), che è un mago dei fornelli: ieri, per esempio, risotto al radicchio e grigliata di carne. Alla faccia della disperazione, l'atmosfera è serena: una soluzione viene data per imminente a giorni alterni.
A governare il Parco, da molti ritenuto un carrozzone in agonia permanente, è un Consorzio formato dai Comuni di Cagliari (45 per cento), Quartu (45 per cento), Quartucciu e Selargius (7 per cento), e infine la fu Provincia (3 per cento). Il bilancio, sulle spalle della Regione, oscilla tra i 2,2 e i 2,4 milioni di euro. I dipendenti, quarantadue, sono diventati la metà. Chissà domani. Nel frattempo ventun precari messi sbrigativamente alla porta occupano nella speranza che un gesto clamoroso come questo - sotto gli occhi di tutti i visitatori - possa smuovere le acque chete della politica. Due annotazioni di cronaca: il Parco è stato istituito nel 1999 e aperto dopo sette anni e cento miliardi di fondi pubblici; a reggerlo è un direttore facente funzioni in attesa che il concorso (bandito due anni fa) esca dal coma della burocrazia.
Il presidente del Consorzio è Mauro Contini, sindaco di Quartu. Che, maledizioni dei lavoratori a parte, tiene a precisare che né lui né il Consiglio direttivo ricevono indennità, gettone di presenza o rimborso spese. «I carrozzoni sono esattamemte il contrario, giusto per precisare».
È vero però che avete un ufficio politico, un direttore editoriale e un addetto stampa?
«A me risulta un interinale che si occupa di comunicazione».
Molentargius è una scandalosa incompiuta.
«Condivido, ma bisogna anche dire che se anni fa non si fossero investiti cento miliardi di lire oggi sarebbe solo un immenso ricovero per zanzare».
Sono passati sette anni tra istituzione e avvìo.
«Tipico delle leggi all'italiana. Io, all'epoca, ero consigliere provinciale e ricordo che non si mettevano d'accordo sulla gestione».
Dopo sette anni ci sono riusciti?
«Confido in una delibera regionale che, stanziando venti milioni di euro, risolverà i problemi dei precari e farà decollare definitivamente il Parco».
Il blocco dei precari ha causato danni ingenti agli impianti: chi pagherà?
«A me non risulta neanche un euro di danni. I pochi addetti rimasti in organico si impegnano a fare in modo che tutto funzioni a dovere».
Le sembra corretto far dirigere il Parco da un ingegnere inquisito per abusivismo?
«Quel signore, scelto dal sindaco che mi ha preceduto, è un funzionario del settore-edilizia del Municipio. Difficile trovare un Comune in Italia che non abbia i responsabili di questo ufficio sotto inchiesta».
Il concorso per il nuovo direttore è scaduto da tempo.
«Non è scaduto. Appena eletto, il sindaco di Cagliari Massimo Zedda ha chiesto di riaprire i termini. È in corso l'esame delle pratiche. Poi, concorsi per tutti».
Che significa?
«Significa che, nel segno della trasparenza, anche i lavoratori attualmente con contratti a tempo, dovranno sostenerli. Hanno maturato grande esperienza, non avranno difficoltà ad affrontarli».

Gabriele De Martis, 39 anni, laureato in Scienze naturali a 22, ha otto specializzazioni e un dottorato di ricerca in Botanica applicata all'ambiente. Comincia a lavorare per Molentargius prima che nasca il Parco. Milleduecento euro al mese di stipendio (l'ultimo l'ha visto ad aprile), una figlia, considera il suo lavoro un segno del destino: ci credeva da piccolo, insomma. Ha svolto il primo censimento della flora (quello precedente risale al 1905) classificando 512 specie compresa una davvero speciale: sembra un cristallo marino ed è invece una pianta che nasce a ridosso delle saline dismesse. «Il 21 per cento della biodiversità di tutta la Sardegna è qui», dice con orgoglio. Ha partecipato a un progetto finanziato con cinque milioni di euro dalla Comunità europea che ha messo insieme Molentargius, la Camargue, le zone umide della Bulgaria, il delta del Po e il Tour du Valàt.
Cosa avete scoperto?
«Nulla perché il licenziamento ha lasciato le cose a metà. Temo anzi che il finanziamento, il più importante mai concesso all'Italia, sia andato perduto. Imperdonabile: il nostro obiettivo era quello di cercare di restituire i siti al loro stato originario».
A chi e a cosa serve un Parco così?
«Molentargius è una risorsa unica nel suo genere. A chi serve? Ai quattrocentomila abitanti della città e dell'area vasta che lo circondano. Serve in particolare all'amministrazione comunale di Quartu ma non certo a scopo di conservazione. Il presidente del Consorzio, che poi è il sindaco di Quartu, ama ripetere che il Parco non deve stare sotto una campana di vetro».
E voi?
«Siamo d'accordo, ma non può neppure essere lasciato a se stesso. Va gestito, monitorato, sorvegliato».
Cosa invidia agli altri Parchi italiani?
«I direttori. Quello di Tavolara, per dirne una, è parte attiva nei lavori scientifici svolti dagli specialisti».
Il vostro?
«È un direttore facente funzioni. Un sostituto, insomma».
Quando le hanno detto di levarsi dai piedi?
«L'ultima settimana di marzo, durante una riunione, il direttore ci ha comunicato che per colpa di Monti e della Fornero non poteva prorogarci i contratti. In cinque minuti ha liquidato sette anni di lavoro».
Ma lei non si arrende.
«Ho rinunciato al posto fisso per fare questo lavoro che mi appassiona. Ho superato le selezioni per diventare agente della Forestale, e le domande erano venticinquemila. Ho preferito fare il precario qui, dunque non me ne vado. Non potrei in alcun modo».
Perché?
«Quando mi stavo laureando venivo a Molentargius per prendere piante da studiare. Ho esplorato le saline e lo stagno palmo a palmo, conosco aree inaccessibili o quasi. Qui c'era il mio futuro».

Prima di approdare a Cagliari, Alessia Atzeni, 46 anni, laurea in Scienze naturali, è stata a lungo nella Camargue. Voleva vedere da vicino la nidificazione dei fenicotteri insieme al massimo esperto del settore, Alan Johnson. Ha imparato moltissimo. Del fenicottero, oggi che se ne occupa (che se ne occupava) al Parco, sa tutto. È un volatile longevo (campa fino ai 40 anni), abituato a vivere in ambienti ostili come i tacchi della Mauritania, felice di stare in gruppo. Non è necessariamente fedele ma durante la fase della deposizione delle uova e della cova divide i compiti con la femmina. A Molentargius, secondo un calcolo approssimativo, ce ne sono attualmente circa cinquemila.
Quante specie ha censito?
«Grosso modo, trecento. Compreso un pellicano. Faceva parte di un gruppo (una quarantina) disorientato da una bufera e ha cercato rifugio qui. È stato l'unico a non ripartire. Oggi ha il piumaggio da adulto e sembra essere perfettamente ambientato».
Cos'ha di eccezionale Molentargius?
«L'estrema vicinanza alla città. In tutta Europa non c'è una zona umida come questa».
Il Parco ha contribuito alla sua specializzazione?
«Quando c'era il vecchio direttore, Mariano Mariani, abbiamo partecipato a studi e convegni. Siamo entrati in un network internazionale, abbiamo rimosso i tralicci dell'alta tensione conquistando rispetto e credibilità».
Secondo lei perché c'è un direttore facente funzioni?
«Il bando è vecchio di due anni ma non succede niente nonostante vi siano dei candidati. Sa perché? Perché vogliono che Molentargius sia un carrozzone clientelare, utile solo per sistemare disoccupati».
E con un direttore vero invece?
«Non se ne fanno nulla. Un direttore competente chiede, preme, protesta. Non serve proprio per questo».
Cosa ha fatto in sette anni?
«Ho fatto parte dell'operazione per inanellare i fenicotteri ottenendo i complimenti dei colleghi del Delta del Po, ho censito per la prima volta altre specie animali: rettili, anfibi, pesci, insetti».
Cosa ha scoperto?
«A Molentargius ci sono insetti-sentinella che rilevano costantemente la qualità ambientale del territorio. Ho anche scovato un serpente che l'università La Sapienza dà in estinzione. Si chiama Colubro ferro di cavallo , vive da noi e a Pantelleria».
S'è fatta un'idea del suo futuro?
«Certo. Resterò qui. A fare, oltre che l'ornitologa, l'educatrice ambientale. Io e i colleghi siamo indispensabili: mandarci a casa non è solo un guaio privato ma per tutto Molentargius».

L'esperto dice che il Parco sta male. Da quando i precari sono stati cacciati, le stazioni di monitoraggio non forniscono più i parametri dell'acqua, molti canali sono prosciugati, i laghetti artificiali sono vuoti, l'erba si è fatta pericolosamente alta. Luca Zambianchi, 41 anni e due figli, è laureato in Ingegneria ambientale e specializzato in Pianificazione. Tra gli occupanti della sala conferenze, è il più riflessivo, forse perché è il decano della categoria. Parla poco e in tono decisamente preoccupato. Racconta d'aver ricevuto nuove offerte di lavoro e di averle rifiutate «perché sono affezionato a Molentargius».
È così straordinario questo luogo?
«Ha incredibili eccezioni. Assediato dall'uomo, riesce a mantenersi (almeno per ora) in equilibrio offrendo uno spettacolo che non ha eguali. Senza attenzione però è destinato a morire».
Resta un'eterna incompiuta.
«Noi sardi non riusciamo a vedere oltre il nostro naso. E pensare che non abbiamo nulla da inventare: c'è già tutto, basterebbe sfruttare al meglio le risorse».
Si spieghi meglio.
«Chi visita il Parco o ci vive deve diventarne una sorta di custode, di vigilante: è nell'interesse generale. A Molentargius ci sono abusivismo, scarichi, rifiuti: se solo si riuscisse a mettersi in sintonia con chi ci sta attorno».
Dei vecchi ruderi industriali che fare?
«Sono immobili da valorizzare. Questo posto può generare economia, ricchezza. In Francia e Inghilterra, con molto meno, ci sono riusciti».
A noi cosa manca?
«La consapevolezza di capire quello che abbiamo. La politica ha il dovere di governare il Parco ma deve lasciarne la gestione ai tecnici. Qui accade esattamente il contrario. Questa è una strepitosa scuola a cielo aperto a patto che non si faccia confusione di ruoli».
Oggi la situazione è grave?
«L'allontanamento dei precari che lavoravano da sette anni ha provocato danni per centinaia di migliaia di euro. Mi chiedo: chi pagherà per tutto questo?»
Nel frattempo, voi?
«Io mi sono occupato di un sistema informativo ambientale che raccoglie le relazioni e le analisi dei vari specialisti e le riversa sul sito del Parco. È un sistema aperto: chiunque può prenderne visione».
E allora?
«Non siamo rimasti con le mani in mano. Quello che abbiamo fatto col nostro lavoro è sotto gli occhi di tutti. Perfino adesso che ci hanno licenziato svolgiamo regolarmente dei sopralluoghi per controllare il funzionamento degli impianti e l'equilibrio dell'intero ecosistema».
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