File e nervi a fior di pelle
Vedi la foto
File chilometriche di auto e clacson premuti nervosamente da autisti spazientiti. Da quando il parcheggio è diventato a pagamento - il 15 marzo - ogni giorno è sempre la stessa storia al di qua delle sbarre d'ingresso al Brotzu. Specie nelle ore di visita ai pazienti ricoverati, dalle 13 alle 14 e dalle 19 alle 20. «Per non parlare di quando si ha necessità del pronto soccorso», incalza Fabrizio Inticu, di Villasor, riferendosi alla giornata di lunedì scorso trascorsa ad assistere il cognato prima che venisse ricoverato. «Dal giorno io e mia moglie veniamo qui mattina e sera: a volte paghiamo un euro e cinquanta, altre volte due euro o addirittura due e cinquanta. Un quarto d'ora si perde a cercare parcheggio, almeno un altro fra raggiungere l'auto e andare a pagare. È un salasso».
LE RAGIONI DELLA PROTESTA «Mettessero almeno un segnalatore coi led che indicasse il numero di parcheggi disponibili - aggiunge Paola di Francesco - potrei decidere preventivamente se entrare oppure no. Invece l'ingresso è libero, ma poi di fatto il parcheggio non si trova». Neppure un giovane tirocinante della facoltà di Medicina e un informatore scientifico (preferiscono restare anonimi) sono d'accordo con l'idea di pagare per la sosta. Secondo il ragazzo «la gratuità della prima mezz'ora è uno specchietto per le allodole. Fra ticket e fila, nessuno riesce a sbrigare una visita medica in meno di mezz'ora: è evidente che, una volta che parcheggi dentro, molto o poco che sia, dovrai pagare». Più pragmatico l'informatore: «Spesso trascorro anche quattro, cinque ore fra i reparti del Brotzu: è assurdo che debba pagare per venire a lavorare».
IL FAVOREVOLE C'è chi lo definisce «una vergogna», chi «il lusso di ammalarsi» e chi, ancora «non vede l'ora che si faccia chiarezza sulla vicenda». Lo dicono di corsa, senza fermarsi, con lo sguardo bene attento sulle auto: sanno che ogni minuto in più di sosta è qualche centesimo in meno nelle proprie tasche. Uno favorevole, tuttavia, c'è. «Ora il piazzale è molto più ordinato: preferisco pagare un tagliando all'ospedale - spiega con orgoglio Luciano Fei - piuttosto che dare, come spesso accadeva, una sorta di tangente a tutti quei senegalesi. Pardon, “venditori ambulanti”, per non essere offensivi».
Michela Seu