La proposta del Comune
Parola d'ordine: inclusione sociale. Ne sono convinti l'assessore comunale ai Servizi Sociali Susanna Orrù, il gruppo di ricerca Ingegneri senza Frontiere, l'Asce (associazione sarda contro l'emarginazione), la fondazione Anna Ruggiu e numerose associazioni che si sono riunite ieri al parco di Monte Claro insieme a una folta rappresentanza dei rom residenti al campo sulla 554. Partendo dal presupposto che «l'accampamento è la negazione dei loro diritti, delle esigenze familiari e delle più basilari norme igienico-sanitarie», secondo quanto percepito dalla Orrù dopo avere visitato personalmente il campo, la domanda sorge spontanea: quale soluzione per i circa 160 rom costretti a condividere 4 mila metri quadri dal '96, nonostante fosse nato come campo provvisorio?
«All'idea iniziale di individuare due aree da sostituire a quella sulla 554, ormai impraticabile - spiega l'assessore - abbiamo contrapposto quella di consegnare, alle 27 famiglie, altrettante abitazioni dislocate nei vari comuni dell'hinterland, perché diversamente avremmo costruito ancora una volta dei luoghi di esclusione, in cui “loro” non avrebbero fatto parte di “noi”». Al via dunque l'ipotesi casa - con giardino per riproporre gli spazi aperti peculiari del popolo - col pagamento dell'affitto garantito, per un anno, da Comune, Regione e fondi europei per le minoranze etniche, «meno costoso della condizione attuale».
Mantenere aperto il campo rom sulla 554 costa infatti, annualmente, dai 600 ai 700 mila euro: «Con quei soldi abbiamo previsto un progetto triennale che, partendo dalle questioni sanitaria e scolastica, giunge fino alla formazione e al lavoro, all'inclusione». Secco “no” da parte dei rom, che pure apprezzano gli sforzi dell'amministrazione. «O ci date le due aree, oppure una garanzia d'affitto pagato per cinque anni: noi lavoriamo alla giornata, fra un anno non avremo un reddito tale da poterci permettere l'affitto. E non vogliamo “togliere” le case ai cittadini sardi in fila per possederne una».
Michela Seu