L'ingegner Gadda va alla guerra o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro”
Splendida prova dell'attore al Massimo di Cagliari
Soggiogati dalla prepotenza della lucidità intellettuale, resa in una drammaturgia affinata a lungo (come deve essere la buona ricerca che fa la differenza), e travolti dall'interpretazione prodigiosa di Fabrizio Gifuni. Si lascia così il Massimo di Cagliari, dopo lo spettacolo “L'ingegner Gadda va alla guerra o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro”, per la regia di Giuseppe Bertolucci.
Applausi e molti richiami per Gifuni, presenza scenica ed eccellente qualità d'attore in un monologo di quasi un'ora e trenta dal ritmo serrato. Sarà ancora sul palco di via De Magistris sino a domenica nella stagione di prosa del Cedac. Con lui si ripete il miracolo del teatro, esperienza unica perché viva e dal vivo, immediata e irripetibile. Attuale e postuma, nello stesso tempo. Che lascia inquietudine umana e desiderio di essere nuovamente frammento di quel rito collettivo che si esplica, in conclusione di pièce, nel gusto di sfondare la quarta parete e rivolgersi agli spettatori. Implicitamente ricordando - nella parola donatrice di verità perché generata dall'evidenza della cronaca messa sotto la lente di ingrandimento - che il teatro non può essere relegato banalmente ad attività del tempo libero. Piuttosto è partecipazione, crescita collettiva, democraticamente messa a disposizione di tutti e non solo di pochi. E, senza il coinvolgimento del pubblico, il teatro - nella propria valenza civile - non ha senso.
Gifuni prende la vicenda umana di Carlo Emilio Gadda e il senso immenso e doloroso di analisi critica del reale dinanzi a una società in putrefazione. Il lavoro drammaturgico trae origine dalla partecipazione dell'autore lombardo alla Prima guerra mondiale, con i diari al fronte e di prigionia, e procede con la condanna del Ventennio fascista esternata del saggio “Eros e Priapo”. Dissemina, inoltre, alcune tracce da “La cognizione del dolore” e ospita - in dialogo vivido - un altro autore, Shakespeare, e il suo “Amleto”. L'eroe scespiriano si affianca a Gadda per solitudine, malinconia, nevrastenia e pazzia. Il marcio è in Danimarca, come in Italia. Si manifesta in desolante similitudine ai tempi nostri in un Paese che resta in disfacimento, insensibile al valore della responsabilità e inesorabilmente affetto da narcisismo patologico.
L'attore/autore, in felice connubio con Bertolucci, mette assieme testi con il risultato della forza drammaturgica, che nasce solo quando il risultato matematico non è semplice somma delle singole parti. Gli basta un vestito che diventa divisa, una sedia sul palco vuoto e divorato dal buio. Recitazione spasmodica espressa in gestualità di nervi e voce votata allo straniamento. Rimane da fustigare il potere. C'è del marcio in Italia, anche se si può ridere dei doppi tacchi che Gadda, nella lingua scatenata, aveva riservato al duce. L'ironia dello scrittore aleggia in sala con la forza della contemporaneità.
Manuela Vacca