22/04/2012 14:55
Primo piano
“Il bene comune va individuato sulla base di ogni specifico contesto e qui da noi, quello piú a rischio è l’ambiente”. E’ questo il messaggio chiaro espresso da Massimo Zedda al dibattito “Acqua e beni comuni” organizzato a Cagliari dall’Italia dei Valori e dalla Federazione della Sinistra. “A Cagliari i poteri forti si stanno riorganizzando – ha ammonito il Sindaco di Cagliari – e stanno tentando nuovi approcci per ricominciare a fare affari su beni di interesse pubblico”. E il rischio di speculazione incombe su tutti noi. Dove ? ” Il parco di Molentargius – Saline, dove ci sono numerose costruzioni abusive ed attorno alle quali, qualcuno vorrebbe realizzare un quartiere residenziale” E poi il Poetto: “Stiamo lavorando a tappe forzate per l’approvazione del p.u.l. per la massima tutela ambientale, ma in questi giorni è stato annunciato che un gruppo di imprenditori privati sarebbe interessato ad investire nell’area dell’ippodromo, ma, sia ben chiaro – affonda Zedda – mi auguro che questi imprenditori siano interessati al settore equino, in tal caso li accoglieremo a braccia aperte, se invece stanno pensando di realizzare degli hotel sul mare nell’area umida urbana più importante d’Europa, possono pure risparmiarsi il viaggio in Sardegna oppure presentare un progetto turistico per riqualificare alcuni dei tanti immobili inutilizzati che si trovano in città”. Il dibattito è stato aperto dall’intervento di Anna Mucci, del forum dell’acqua, la quale ha ricordato che la battaglia vinta del referendum di giugno scorso è nata come forma di “lotta civica” sulla base di quanto deciso in vari organismi internazionali che hanno sancito come il diritto all’ acqua debba essere garantito a tutti, come fonte primaria di sussitenza, senza speculazione privata. Poi è stata la volta di Alberto Lucarelli, professore di diritto pubblico all’Università di Napoli e assessore ai beni comuni della Giunta De Magistris, il quale ha raccontato il complesso iter con cui il Consiglio comunale partenopeo è riuscito a trasformare la spa di gestione dell’acqua in azienda speciale di diritto pubblico, nella quale le decisioni verranno assunte sotto il controllo di un comitato di gestione, costituito da semplici cittadini espressi dai forum. Ma a Napoli ed in Campania la “ripubblicizzazione” dell’acqua è ancora lungi dal realizzarsi, perchè i concessionari degli acquedotti sono ancora i privati, con Caltagirone in prima linea, a fare utili – in un monopolio naturale – alle spalle dei bisogni primari dei cittadini. Enrico Lobina, capogruppo in Consiglio Comunale FS-RM, ha parlato del rischio di smantellamento che ha corso il sistema idrico pubblico regionale, quando poco prima del referendum si era già deciso di mettere sul mercato il 40% delle quote di Abbanoa ai privati (probabilmente una multinazionale spagnola), il cui iter è stato interrotto dagli esiti della grande vittoria del centrosinistra a Cagliari, e poi nei referendum che hanno impedito la privatizzazione non solo dell’acqua ma anche degli altri servizi di interesse locale. Ma il governo Monti vuole cancellare l’esito referendario, tagliando le risorse agli enti locali ed obbligandoli a privatizzare. A fornire l’assist a Zedda, per il suo intervento, è stato invece Giovanni Dore, capogruppo dell’IDV. “La legge Fitto sulla privatizzazione di acqua e servizi locali è stata varata nel settembre 2009, all’apice di successo della destra italiana, con il complice silenzio di quelle europee – ha ricordato il dipietrista – maramaldeggiava tra leggi ad personam, tentativi di bavaglio all’informazione e corruzione dilagante. Poi esplosa la protesta della società civile, per lo piú grazie ala forza dei social network, che ha imposto uno stop a tale deriva. “Abbanoa è pubblica, ma malgestita – ha concluso Dore – e noi vogliamo che pubblici restino anche tutti i servizi primari, in particolare i trasporti locali. Le recenti regole sulla trasparenza, decise dal Consiglio comunale di Cagliari, insieme al contenimento dei costi per amministratori e dirigenti, di prossima approvazione, ed all’obbligo di concorsi pubblici per le assunzioni, toglieranno spazio ai partiti e possono garantire efficienza nell’interesse pubblico”. Ma non è un passo indietro rispetto al passato, chiede qualcuno dalla platea ? No risponde sicuro Lucarelli: “Fino agli anni 60, quando i partiti non lottizzavano gli enti pubblici, questi ultimi sono stati il miglior strumento di coesione sociale, assicurando buoni servizi ed anche una discreta efficienza a costi limitati; a questo deve condurre la nostra battaglia che, da qui in avanti, dobbiamo combattere tutti assieme.”