AMORE E RABBIA.
Cagliari “matrigna”: ecco alcune testimonianze dei nostri lettori
Il dramma di tantissimi giovani costretti ad emigrare
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Altre storie di «Amore e rabbia» ma questa volta raccontate direttamente dai lettori. Polemiche sulla classe dirigente di Cagliari e grida di dolore per la mancanza di prospettive che spesso costringe i nostri ragazzi a fuggire all'estero. Interventi graditi, che pubblichiamo.
Sono un assegnista di ricerca presso la facoltà di Ingegneria dell'Università di Cagliari, assegno ottenuto grazie all'iniziativa Master & Back 2009, a seguito della fase “Back”.
Negli anni del dottorato, svolto presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell'Università di Cagliari, ho trascorso circa un anno come visiting researcher in Svezia, presso uno dei più importanti istituti di ricerca sui motori a combustione interna, argomento del quale mi occupo tuttora, precisamente sviluppando ricerche mirate a ridurne i consumi e le emissioni inquinanti entro i più stringenti limiti normativi di oggi e di domani.
Successivamente al dottorato, grazie all'esperienza all'estero, ho potuto beneficiare di un finanziamento nell'ambito del già citato programma Master & Back 2009, finanziamento che si è concretizzato in un assegno di ricerca biennale che mi ha permesso di svolgere e di trasferire nel mio dipartimento le competenze sviluppate all'estero.
Sono stati due anni di grandi sacrifici, anni nei quali mi sono dovuto scontrare con lo stato di abbandono totale delle strutture di ricerca, anni nei quali ho sviluppato delle collaborazioni con il CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, in particolare con l'Istituto Motori di Napoli, presso il quale ho svolto attività sperimentali altrimenti impossibili da svolgere presso il dipartimento, ricerche costate spese di trasferta, di vitto ed alloggio che hanno gravato esclusivamente sul già scarno assegno, il tutto per potere pubblicare qualcosa che portasse il nome della mia Università, il tutto solo per passione verso un lavoro e verso una Università che soffre più di molte altre delle difficoltà di questi tempi.
Nonostante le difficoltà materiali sopportate ho prodotto alcune pubblicazioni di rilevanza internazionale, sia su conferenze che su riviste, riviste che vedono firmarmi con orgoglio come ricercatore dell'Università di Cagliari, e scrivo «con orgoglio» perché è solo il profondo amore e legame con la mia terra e con la mia Università che mi hanno permesso di sopportare questi sacrifici, confidando che non sarebbero stati vani ed avrebbero contribuito ad una sua crescita, perché solo grazie ad esse è oggi possibile riacquisire prestigio e autorevolezza, oltre che finanziamenti sia pubblici che privati.
Tutto questo avrà un termine di qui a breve, esattamente il 6 giugno di questo anno, al termine dei due anni di assegno (iniziato il 7 giugno 2010), quando sarò costretto a cambiare lavoro, oppure ad emigrare all'estero (e non potrà che essere per sempre), perché tale assegno non potrà venire rinnovato a causa dell'assenza di fondi, e con esso avranno termine anche i legami con quanti ho collaborato in tutto questo tempo.
La mia storia è la storia di molti, forse di tutti noi giovani precari della ricerca, figure che non hanno la ribalta degli schermi televisivi, che non hanno tutele né protezioni sociali, spesso silenti e delle quali si parla solo quando vanno via dalla propria terra verso luoghi dove la loro professionalità ha un valore.
Eravamo in tanti quella notte davanti all'agenzia del lavoro, in fila tutta una notte per inseguire un sogno, non dei soldi, perché i 1200 euro che percepiamo, senza tutele, tredicesime o ferie appaiono davvero pochi se davvero si ritiene la ricerca così importante per il Paese, perché eravamo convinti di potere dare tanto e dare il nostro contributo perché la nostra Università potesse crescere, ma nessuno o quasi resterà di noi, perché per noi è difficile ottenere le risorse che ci permettono un rinnovo dell'assegno, rinnovo che ci permetta di sperare ancora in un futuro migliore.
Ciò che vi chiedo è solo che non vi dimentichiate di noi ora, prima che anche di noi si parli come di altri cervelli in fuga, perché se l'amore verso la nostra terra è grande, anche un grande amore, quando disilluso, nulla può per fare tornare indietro le persone.
Simone Serra
Essendo nata e vissuta in questa città mi piacerebbe poter dire due parole sull'articolo dello storico e scrittore Paolo Fadda, intitolato «Cagliari, fuori l'orgoglio».
Immagino che parlare di perdita del valore identitario definito come “cagliaritanità” presupponga che esso sia esistito. Forse è stato così nell'ultimo dopoguerra, quando, in un tempo sorprendentemente breve, Cagliari è risorta dalle macerie.
Ma io, personalmente, negli ultimi quarant'anni non ho mai sentito nemmeno l'odore della “cagliaritanità”. L'unico profumo che ho respirato nella mia città è quello degli orticelli che ciascuno coltiva per sé, cercando di avere in poppa il vento soffiato dai dominatori del momento. Il tutto condito dall'ignavia di coloro che dormono sonni tranquilli nella convinzione che non si possa far niente per cambiare le cose.
Purtroppo devo condividere il terribile giudizio dello scrittore Marcello Fois, quando ci definisce «nani che aspettano giganti che li portino sulle spalle».
Io penso che la cultura sia fondamentalmente capacità di guardare il mondo con occhi liberi; se questo è vero, l'unico rimedio possibile sta nel coraggio di mettere la cultura davanti al potere di una classe dirigente che troppo spesso ha confuso l'orgoglio di essere sardi con l'immobilismo sociale di un ambiente poco aperto allo scambio con l'esterno. Forse il mancato progresso della città di cui parla Paolo Fadda è dovuto più alla paura di perdere l'egemonia, da parte di certi potentati cagliaritani, che non a quello che lui definisce il disvalore della ruralità.
Ornella Pani