Dal cappuccino Serafino Esquirro, passando per Cannas, a Sergio Atzeni:
un fiume d'inchiostro racconta il fascino per la festa del primo maggio
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I due volti del Sant'Efisio di maggio, la fantasmagorica rassegna del folklore e la solenne processione votiva, hanno affollato (e continuano ancora ad affollare) una vastissima bibliografia di artisti e poeti dell'immagine e della penna. Il tutto al di là della agiografia che passa per il canto popolare dei goccius. Insomma, il Martire Glorioso al pari di un personaggio letterario.
SERAFINO ESQUIRRO Un primo esempio lo fornisce Giancarlo Porcu, 40 anni, nuorese, filologo: «Già in epoca spagnola Efisio fu oggetto di trasposizioni para-letterarie, anche nell'ambito della tipica festa religiosa di stampo barocco, come narra il cappuccino cagliaritano Serafino Esquirro nel suo libro del 1624 “Santuario de Cáller y verdadera historia de la invención de los cuerpos santos hallados en la dicha ciudad y su arçobispado”. Il volume di Esquirro dà conto della frenetica e confusa stagione di scavi miranti alla scoperta di nuovi martiri sardi, non esente da falsificazioni più o meno preterintenzionali, che si ebbe in Sardegna durante i primi decenni del Seicento». Spiega Porcu: «Nel narrare la traslazione in processione del corpo di San Bonifacio dal luogo d'invenzione al nuovo santuario, Esquirro riferisce che i confratelli di Sant'Efisio (“San Ephis”) recavano in processione un complesso statuario rappresentante un albero sopra le cui radici stavano ventiquattro statuette (“24. personages de bulto poco mas de un palmo alto cada uno dellos”), 12 delle quali rappresentavano soldati, capitanati da Sant'Efisio, e le altre dodici effigiavano barbaricini (“Barbarachines”: abitanti della Barbagia, zona montuosa della Sardegna centrale). Entrambi gli schieramenti, in assetto da guerra - a significare la lotta ingaggiata da Sant'Efisio contro i Barbaricini avversi alla predicazione del santo nei loro domini - sollevano delle bandiere contenenti un botta e risposta in rima».
BONIFACIO DOLMI Opera poetica curiosa (molto rara), stampata a Cagliari nel 1787 dalla Imprenta Reale (nome in sardo della Stamperia Reale), scritta in logudorese, è “Vida martiriu e morte cun sas glòrias pòstumas de Sant'Effisiu protettore de Calaris”: 249 strofe divise in tre canti: un poemetto, insomma. È anonima ma viene attribuita a un personaggio misterioso: Bonifacio Dolmi probabile nome di copertura del gesuita catalano Andrés Febrés, polemista rifugiatosi a Cagliari dopo la soppressione della Compagnia di Gesù.
CHARLES EDWARDES Primo di maggio che ha finito per conquistare anche il visitatore straniero, oggi grazie a Internet, nei secoli scorsi attraverso i diari di viaggiatori illustri, come Charles Edwardes (scrittore inglese dell'Ottocento) al quale, grazie alla traduzione di Lucio Artizzu di “La Sardegna e i sardi”, dobbiamo il ricordo di una processione via mare: “La strada da Cagliari a Nora si snoda attraverso una striscia di terra rialzata fra il mare e gli stagni e compie un lungo giro. Non tutti preferiscono percorrere la carreggiata. Alcuni affittano delle piccole barche, altri vanno in massa su golette noleggiate per l'occasione…La musica e i canti ritmano la vogata mentre i fedeli, lentamente, avanzano sull'argine della placida insenatura”.
FRANCESCO ALZIATOR In epoca moderna è Francesco Alziator, giornalista e scrittore scomparso nel 1977, il maggior cantore della Sagra che, definendo il Calendimaggio cagliaritano “il più grande convegno folklorico del Mediterraneo”, in pagine da antologia, così descrive l'incedere dei costumi per le strade: “Il gioco delle gonne, dei corsetti e degli scialli ha il sapore del melograno aperto: nelle cuffiette arancioni delle prioresse di Desulo, nei corpetti ricchi d'oro delle donne di Quartu, nello scarlatto nuziale delle gonne, nei piedi scalzi dei pescatori di Cabras o ancora nella fiera eleganza delle ragazze di Tempio, nel loro abito nero con soggolo di pizzo bianco: tutta la storia dell'Isola è lì”.
AQUILINO CANNAS Il grande poeta Aquilino Cannas, scomparso nel 2005, dedica al Martire diversi passaggi nelle sue liriche. Come in “In Carrecocciu”: “O fro', no ti scarescias/(o no fazzas a scaresci)/chi de Santu in Casteddu/nci nd' e' unu vetti, i e' Sant'Efis!”. O ancora in “Molentargius” invocato per fermare il degrado urbanistico della città: “Gopai, a s'urtimu arrematu/iscis ita ti nau? ti nau chi est arribara s'ora/de 'ndi bogai foras/Efixeddu Nostru; de 'ndi bogai a foras/Sant'Efis Gloriosu! In carrecocciu,/a foras po totus is arrugas de Casteddu!”.
PAOLO DE MAGISTRIS C'è anche un Sant'Efisio dei primi anni del Dopoguerra, con una Cagliari ancora impaurita e tremante per le ferite dei bombardamenti che rivive nelle pagine di Paolo De Magistris, sindaco di Cagliari scomparso 12 anni fa. La sua famiglia era proprietaria, per discendenza materna dai conti Ciarella, della chiesetta di Giorgino dove “sia i grandi mazzi di fiori tolti dalle corna dei buoi, sia la cassetta contenente le vesti cittadine della Statua di Sant'Efisio, le decorazioni cavalleresche e belliche, i gioielli degli ex-voto per quattro giorni - motivo d'inespressa fierezza - sarebbero rimasti in casa”. Con rapide pennellate, nel suo “Infanzia come una sinfonia”, don Paolo dipinge is dottoris della Guardiania “un tempo rampolli della aristocrazia, poi borghesi, infine artigiani, rotondetti, legnosi, rubicondi, imbarazzatissimi nei frac non abituali” e poi la folla che attende il passaggio del Martire lungo tutto il litorale, in riva allo stagno, attorno alla torretta della Quarta Regia, sull'arenile dove “su lunghe, basse panche di legno venivano servite succulente cassolas e montagne di arselle pescate da cocciulaius immersi nell'acqua sino al polpaccio, con i calzoni arrotolati fin sopra il ginocchio”. Indimenticabile, per il bambino De Magistris, l'arrivo a Giorgino: “Ecco i lampioni, ecco il turbante rosso de su carradori, ecco le piramidi infiorate delle corna dei pazienti buoi, ed ecco finalmente il cocchio di Sant'Efisio, tremolante e maestoso, splendente di luci, pavesato di bandierine agitate dalla brezza marina…Tocca a noi portarlo in Cappella mentre dalla folla si grida alloddu Efixeddu ”.
TERESA MUNDULA CRESPELLANI Nei versi di Teresa Mundula Crespellani si trova la cagliaritanità più autentica, quella che -nel casteddaiu che a stento resiste ancora nei vecchi rioni- riesce a cogliere gli aspetti eterni di questo secolare e irripetibile copione. E allora al passare della processione “s'arruga è commenti una pingiara ch'è buddendi, prena de genti ammisturara che s'esti cuncordara, allippuzzara, chi fai s'incingiu mancai sia proendi”. E quando passa il Santo “a su sonu 'e sa cannuga, dognunu s'inginugara preghendi: sant'Efis gioiosu esti passendi, issu de dogna beni sciri s'arruga”.
SERGIO ATZENI Ma c'è anche un visione diversa in cui la festa del primo maggio diventa anche la possibilità di osservare la città, i suoi notabili spesso specchio dei vizi di una città. A farsene interprete è il grande scrittore cagliaritano Serzio Atzeni con “Rondò final” (racconto postumo fra “I sogni della città bianca” curati da Giuseppe Grecu). «Rientra in uno dei primissimi progetti di scrittura atzeniani, quello di una serie di racconti ambientati nei quartieri di Cagliari, la città bianca», spiega Gigliola Sulis, 40 anni, cagliaritana, docente di Letteratura italiana alla University of Leeds in Gran Bretagna. «Durante una sfilata di Sant'Efisio la moglie del questore, sul palco delle autorità, si abbandona alle carezze indecenti di un “teppista sedicenne” pronto a derubarla, e una beghina trova un inatteso godimento con uno sconosciuto carabiniere. Una storia beffarda e leggera, che alterna ambientazione realistica e soluzioni fantastiche, e in cui l'incontro-scontro tra sessi e classi sociali è raccontato con ritmo incalzante e sguardo ironico».
RONDÒ FINAL Scrive Atzeni: “Un attimo di sospensione, nell'aria: come la pausa di silenzio di un'orchestra, un attimo prima del rondò final. I bambini, muti, sgranano gli occhi a una straordinaria meravigliosa apparizione sull'asfalto: i cavalli. Sui cavalli, sorridenti - allegri diavoli rossi, sorridenti - stanno gli uomini dai lunghi fucili, i miliziani, i guerrieri. I miliziani rossi a cavallo stanno arrivando, li hanno veduti sbucare su, lassù, sulla strada. Comincia la commedia. Fra le urla di gioia dei bambini. Il questore stringe la mano a un cretino, e sorride al cretino, e ride - quasi - e con la coda dell'occhio sbircia la consorte. - Sul palco drappeggiato di rosso delle autorità. I maggiori col culo protetto da un telo rosso di antiche consuetudini”.