ANNIVERSARIO. Un motivo in più per vincere al Dall'Ara: c'è da celebrare lo scudetto del 1970
di Nando Mura
Ha detto Eduardo Galeano, scrittore uruguayano amante degli splendori e delle miserie del gioco del calcio: i templi del pallone devono essere visitati da vuoti, perché è quando sono vuoti che riecheggiano i suoni della memoria. Andate all'Amsicora, a centrocampo, e leggete questa poesia:
Albertosi, Martiradonna, Zignoli… Cera, Niccolai, Tomasini… Domenghini, Nenè, Gori, Greatti… Riva.
A quel punto sentirete un boato. Anche quarantadue anni dopo. È una fantastica coincidenza: il Cagliari che stasera gioca a Bologna ha un motivo in più per cercare la vittoria perché oggi non è un giorno come tutti gli altri. Perché oggi è il 12 aprile ed è una data storica, anche per gli amanti dei Beatles, perché quel giorno (del 1970) Paul McCartney annunciò lo scioglimento dei Fab Four. Ma lo è anche per gli amanti del Cagliari perché quel giorno (sempre del 1970) la squadra allenata da Manlio Scopigno vinse lo scudetto battendo (era una domenica, allora si giocava soltanto la domenica pomeriggio) il Bari all'Amsicora.
Che altro dire, dopo quarantadue anni? Intanto che dispiace che alcuni di quei grandi protagonisti non ci siano più: da Efisio Corrias ad Andrea Arrica e Paolo Marras, lo stesso Scopigno, la coppia di terzini Martiradonna e Zignoli, il massaggiatore Domenico Duri, custode di mille segreti rimasti tali. Grandi uomini, frammenti di una storia che continua a scatenare la fantasia di un popolo, nato, cresciuto e ormai anche invecchiato nutrendosi di quella storica vicenda, e ora del suo ricordo indelebile. È bello pensare che molti settantenni di oggi non avevano ancora trent'anni quando in quel pomeriggio del 12 aprile 1970 Gigi Riva segnò al Bari quello straordinario gol di testa in tuffo su assist delizioso di Mario Brugnera. Perché è bello? Proprio perché quel ricordo ha addolcito il trascorrere del tempo, ha accorciato la distanza tra giovinezza e terza età, ha reso orgoglioso un popolo di tifosi che può dire io c'ero e ho visto tutto.
Inutile ricordare il significato di quella clamorosa impresa che valeva più di un semplice trionfo sportivo: era stato il riconoscimento della Sardegna e delle sua gente, quel giorno la nostra amata isoletta aveva cessato di essere uno scoglio in mezzo al Mediterraneo e si era avvicinata al Continente, una volta tanto erano stati gli italiani (increduli ma al tempo stesso compartecipi della nostra gioia) ad invidiarci qualcosa.
Restano gli archivi: quel Cagliari campione d'Italia vinse diciassette partite, ne pareggiò undici, ne perse soltanto due (a Palermo e a Milano contro l'Inter), segnò quarantadue gol (la metà esatta con Gigi Riva, due soli su rigore), subì appena undici reti, non solo grazie a quello straordinario portiere che era stato Enrico Albertosi.
Cagliari imbattibile e imbattuto all'Amsicora (undici vittorie e quattro pareggi, ventitré gol fatti, soltanto quattro subiti), sei successi esterni, una sequenza di cinque vittorie consecutive, una striscia di undici risultati utili. Cifre da brivido, che non bastano a ricostruire l'atmosfera - irripetibile - di quell'epoca. Scandita da quell'elenco di nomi diventati leggenda.