In Sardegna, nel periodo giudicale e in quello catalano-aragonese
La fama di Violant Carròs, Contessa di Quirra
Petali di vita vissuti e scampoli di cronache private si affacciano dalle pieghe della storia, da remoti rosari dinastici. Rivestono abiti d’epoca. Rinascono come persone. Raccontano di tempi passati, di buona o cattiva sorte, come quella che accompagna la “Comtessa dissortada”. Questa la fama di Violant Carròs fin da subito, da quando, ad appena tre anni, rimane orfana della madre Violant de Centelles. Eppure quali auspici migliori per lei nell’anno di grazia 1456, quello della sua nascita? Figlia nientemeno che del conte Jaume Carròs e nipote di Berenguer III, Viceré, Signore di molti feudi e Capitano generale della Sardegna. Con la penna da saggista e l’animo romantico Maria Mercè Costa ne compone la tormentata biografia sotto i cieli e i vincoli della Sardegna catalano- aragonese (e oltre), e dentro il perimetro di palazzi e castelli, a cominciare da quello di San Michele, dimora principale dei conti di Quirra. Un castello colorato di seta e oro, giallo e vermiglio, addobbato da ventiquattro tappeti di misure diverse, e dove Jaume ha due liuti, una viola e un organo a tre mantici, e tanta buona musica. E intorno cento persone che vanno e vengono, e scudieri e schiavi.
L’INCENDIO. Ma nel 1468, all’improvviso scoppia un incendio; il conte rimane gravemente ferito e nel giorno di Natale Violant, appena dodicenne, diventa la sua erede universale e padrona di uno dei patrimoni più estesi della Sardegna: un quarto dell’intero territorio dell’isola. Da quel momento il suo tutore è il Viceré Nicolau Carròs d’Arborea, uomo di pochi scrupoli, al fianco dell’intrigante consorte, Brianda de Mur. Nessuna sorpresa, dunque, se Violant convola a nozze con il loro rampollo Dalmau che porta in dote solo la sua augusta persona, nonostante le rigide disposizioni in proposito. Di più: ricava dal matrimonio il titolo di conte, ma fino al 22 luglio 1478 quando muore a ridosso della battaglia di Macomer, seguito di lì a poco da suo padre Nicolau.Vedova e senza tutore, la Contessa è libera solo in apparenza, in realtà sotto il ferreo controllo di suocera e cognati. Ma vent’anni sono l’età giusta per diventare “defensora del seu patrimoni” e innamorarsi di Felip de Castre. A che vale l’opposizione di Brianda di fronte all’amore? E così, a meno di un anno dalla morte del marito, Violant sposa segretamente Felip, ma è “dissortada” e Felip muore intorno al 1482 lasciandole due figli: Jaume e Felip. Da lì la fiera lotta per i suoi beni e le liti con parenti ingordi e insaziabili, fino a quando, nel 1509, Michele Aragall l’accusa di aver fatto impiccare un sacerdote in una sua casa di Ales, imputazione dalla quale viene prosciolta un anno dopo. Nel 1511 si spegne all’età di 55 anni. Ma castello, castellana e avventure sono un polinomio possibile anche nella storia giudicale dove, alla morte del Giudice, il regno va al primogenito. In assenza di eredi maschi, la discendenza è per linea femminile; le “donnikellas”, a loro volta, trasferiscono il titolo al coniuge. Non è cosa da poco e, infatti, di Giudicesse, e di una vera e propria strategia attraverso una ragnatela di matrimoni per ottenere il dominio dell’isola, raccontano le cronache e la storia della Sardegna. Compresa la geografia, segnata dalla presenza di castelli, che si innestano in parte sui “castra” bizantini. KARALES. Fra i vari Giudicati, per Alessandro Soddu, in “I Vandali, Bisanzio e il Medioevo dei Giudici”, quello di Cagliari ha per capitale Karales e una curia regia “itinerante” e «in Santa Igìa o Gilla e Decimo (…), nonché nel castello di Kirra o Quirra, i principali centri amministrativi», e proprio il castello sarà il «centro della resistenza della giudicessa Benedetta contro gli stessi Pisani ». Figlia di Guglielmo di Massa e di Adelasia Malaspina, Benedetta è figura controversa. Da una parte, secondo Bianca Fadda in “Un nuovo documento su Benedetta, marchesa di Massa e domina del Giudicato di Cagliari”, «donna, per dirla con il Besta “debole e incapace a proseguire la politica del padre” (apre) “nuove possibilità di penetrazione ai Visconti” », dall’altra, sempre per Soddu, al centro di canzoni provenzali che ne celebrano la vita “avventurosa”. È, d’altra parte, moglie di Barisone II di Arborea, quindi di Lamberto Visconti, di Enrico di Ceola (1226) e di Rinaldo de’ Gualandi. Ma se Benedetta deve sottostare alle trame della complessa politica di quel tempo, non è da meno Adelasia, figlia di Mariano II Giudice di Torres e di Agnese di Massa, protagonista di storie vere e letterarie. Nel suo romanzo, “Adelasia di Torres” (1898), Enrico Costa titola intenzionalmente un capitolo de “La storia romantica”“I mariti di Adelasia”, la serie dei quali inizia a quattordici anni con Ubaldo Visconti, per Costa responsabile indiretto della morte del cognato Barisone III, la cui perdita Adelasia piange con dolore tra le spesse mura della reggia di Ardara.
UN NUOVO CONSORTE. Alla morte di Ubaldo il Papa la provvede di un altro marito, Guelfo de’ Porcari, quindi un nuovo consorte ancora (1238), forse su consiglio dei Doria: Enzo di Svevia, figlio naturale di Federico II, dotato di molte virtù che Enrico Costa non manca di sottolineare, e infatti “questo Enzio od Enrico (è) giovanissimo, bello, prode, poeta, più giovane di lei di una ventina d’anni” ma, dopo la partenza per altri lidi, colpevole del “ritiro dal mondo” della Giudicessa nel castello del Goceano. Ce n’è d’avanzo per le ricostruzioni più romantiche. Viceversa, la successiva unione con Michele Zanche, consegnato da Dante ad posteros come barattiere nel XXII canto dell’Inferno, viene così riferita dal Costa nel suo “Romanzo storico”: “consacrata l’unione di Michele e Adelasia, i due sposi novelli poterono togliere dall’ombra il frutto della loro colpa che venne legittimato”. Finalmente Agnete, la bruna figlia di Zanche, viene accolta con gli stessi onori di Elena, la bionda figlia di Enzo di Svevia. Angela Guiso (fine) angelaguiso@ymail.com