Amarcord
Una ricca proposta
Palcoscenici a cielo aperto
Il modello romano
Gades, De André, Bolscioi
De Gregori al Poetto
e Baglioni in caserma
Riapriva l'anfiteatro
Le novità: viale Europa
e piazza San Cosimo
Cultura alta e bassa
ma soprattutto
gli spazi urbani ripensati
Trent'anni fa, nel luglio 1982, decollava l'estate cagliaritana: un cartellone
che miscelava generi e tendenze ma inventava luoghi di spettacolo in città
Conto alla rovescia: meno due mesi e mezzo, settimana più settimana meno, all'ipotetico via all'estate cagliaritana. Ma non ci sarà il botto festoso che almeno nelle ultime due decadi ha dipinto di note e colori l'offerta di spettacoli in città. Già l'anno scorso il cartellone era asmatico: pochi soldi pubblici, i soliti tagli alla cultura e soprattutto l'anfiteatro romano sprangato.
TRISTE REPLICA Quest'anno si replica, la patologia è la stessa e ormai cronicizzata: il comune mostra le tasche vuote, idem gli altri enti pubblici che da sempre sono l'unica bombola d'ossigeno per qualsiasi manifestazione e il golfo mistico dell'anfiteatro con i suoi 4500 posti resterà off limits , intorcinato in una polemica tra guelfi e ghibellini, dal sapore manicheo, che alla fine è diventata stucchevole. Perché non ci voleva l'intuito di Archimede per capire che prima o poi i nodi sarebbero venuti al pettine - la soprintendenza ha le sue buone ragioni, l'amministrazione pure - arrivando al patatrac: e allora nessuno, in questi lunghi anni in cui si è gozzovigliato sul tutto esaurito del calderone antico di viale fra Ignazio, in cui i politici di turno si sono riempiti la bocca di slogan “Cagliari città turistica”, “Cagliari capitale del Mediterraneo” (ma dove? ma quando? se ad agosto non c'erano un negozio e un ristorante aperti), nessuno insomma ha pensato a un sito nuovo. Non alternativo, perché quello c'è sempre stato: la Fiera, per esempio, con rincorse all'ultimo minuto per l'agibilità, la commissione che pignolescamente blocca l'iter per una sedia in più, il sindaco che firma addossandosi la responsabilità, l'organizzatore col batticuore e il pensiero al fido bancario già in rosso. Oppure il trasloco rapido nell'hinterland, chiedendo ospitalità a Quartu, Pirri e Sarroch: tecnica dell'arte di arrangiarsi in zona Cesarini, rispolverata anche l'estate scorsa.
L'INVENTIVA CHE NON C'È Serviva dunque progettare e realizzare un luogo di spettacolo nuovo di zecca, le aree non mancavano e non mancano (e allora, tempi di vacche grasse, c'erano pure i soldi), magari industriarsi nell'impiantare un teatro tenda “decapottabile” da sfruttare anche d'inverno per evitare la penuria di concerti, perché la musica - salvo appunto il guazzabuglio della Fiera o del Teatro Lirico - è sempre stata un'offerta balneare, o quasi. Oppure? Scontata l'indisponibilità dell'anfiteatro, che da solo mangiava una bella fetta di concerti, serviva, meglio servirebbe, ripensare la città, reinventare luoghi, angoli, piazze, restituendo a vita collettiva e conviviale anche i quartieri periferici.
L'ESEMPIO DEL PASSATO Non è una idea nuova, anzi: è il modello che ancora resiste dell'estate romana che nel 1977 con le proiezioni cinematografiche all'aperto a Massenzio, trasformò lo spettacolo in fenomeno di costume, occupando e “riverniciando” luoghi urbani fossilizzati, mischiando pubblici differenti, contaminando la cultura alta e bassa, mettendo la platea - quindi il gusto popolare e intellettuale - sullo stesso piano dell'evento. Anche per reagire a un'ansia e a una inquietudine collettiva che attanagliava il pubblico, soffocato dagli anni di piombo. Era l'inizio della divulgazione della cultura di massa, bollata poi come effimera, che contagiò nel giro di pochi anni tutti i comuni italiani, piccoli e grandi.
IL RITO COLLETTIVO Anche Cagliari si allineò a questo bisogno di socializzazione, a strappare dal contesto borghese il rito dello spettacolo per rovesciarlo sulle strade e sulle piazze. Era il 1982, giusto trent'anni fa, quando «esplode l'estate cagliaritana», così titolò L'Unione Sarda. Inaugurazione in pompa magna sabato 10 luglio all'anfiteatro romano che dopo anni - e propedeutiche battaglie di padre Egidio Guidubaldi, che arrivò in solitario a occuparlo e dormirci di notte - ritornava ai fasti d'un tempo. Sulle tavole di legno del palcoscenico (montato sotto i gradoni che restavano liberi, la platea era dalla parte opposta) rimbombavano i colpi di tacco di Antonio Gades e Cristina Hoyos, protagonisti del balletto Bodas de sangre di Garcia Lorca. Un successo in quell'antico catino che era stato aggiustato alla bell'è meglio sfruttando solo una porzione del monumento; c'erano platea e gradinata ma furono venduti, per soddisfare la richiesta di pubblico, anche posti in piedi a duemila lire.
SOTTO LE STELLE Lunedì 12 luglio, il cinema cercava spettatori nell'arena di Marina Piccola (mille posti, biglietto mille lire) con un cartellone generalista, film commerciali e d'essai e perfino una sezione dedicata a quelli girati in Sardegna: la risposta fu entusiasta, la sala a cielo aperto finì la programmazione a settembre inoltrato, scacciando le incognite e i dubbi della vigilia.
Con aggiustamenti in corsa e qualche velleitarismo, “Un'estate a Cagliari” decollava impossessandosi di spazi urbani anonimi o storici, invitando i cagliaritani a vivere diversamente la loro città. L'amministrazione comunale (l'assessore allo Spettacolo era Luciano Fozzi, geometra, razza democristiana, che, va detto, s'impegnò per far crescere la manifestazione) aveva messo a disposizione piazza San Cosimo ancora sterrata, un piccolo palco con la basilica di San Saturnino alle spalle battezzato con enfasi giornalistica “la bomboniera” (nome che rimase negli anni successivi) dove si privilegiava la parte culturale: concerti di musica antica, spettacoli di marionette e recital di poesie (Mario Faticoni che fece sold out con La terra che non ride , suo cavallo di battaglia, duemila persone per ascoltare i versi di Leopardi, Petrarca, Foscolo, Pavese, Masala). Si riapriva Villa Asquer ma sorprendentemente il piazzale di Viale Europa, a Monte Urpinu, diventata un altro spazio di spettacolo: tra luglio e agosto sono passate serate di danza contemporanea e classica (il nome di richiamo era Margherita Parrilla) e cabaret, protagonisti Oreste Lionello, che era una star del Bagaglino ma soprattutto i comici che Fininvest (si chiamava così la tv di Berlusconi) stava lanciando in quel periodo: Teo Teocoli e la coppia Zuzzurro e Gaspare.
MALEDETTO STADIO Per i concerti di grande richiamo nacque una polemica: serviva il Sant'Elia ma il Comune rispose picche, mandando in provincia star del calibro di Miguel Bosè, Franco Battiato, Loredana Bertè, Gianna Nannini, Roberto Vecchioni.
C'era però più flessibilità e anche fantasia per superare il no allo stadio. Naturalmente la Fiera, in condominio spesso con le feste dell'Unità che, stirando ancora i tempi del compromesso storico ormai fallito, rientravano nel gran bollito dell'estate cagliaritana. Si esibirono in quei caldi mesi Don Cherry, Gino Paoli, Pino Daniele, Eugenio Bennato, con il contorno della comicità di Pino Caruso e dei Gatti di Vicolo Miracoli (Jerry Calà e soci); altri concerti invece furono dirottati nel campo sportivo del Ferroviario, in viale la Plaia: dai Rockets a quello memorabile di Fabrizio De André che tornava a suonare in città dopo sette anni. Non basta, perché se l'artista richiamava folle, occorreva uno spazio dove esagerare con i numeri: la scelta cadde sulla prima fermata del Poetto che ospitò un festival rock aperto dagli Area e chiuso da Francesco De Gregori: sulla stampa si parlò di settantamila persone sulle note di Rimmel , magari bluffando, ma chi c'era ricorda perfettamente una massa umana che aveva colonizzato Marina Piccola. E sempre nell'ossessione di sfatare luoghi e tabù, complice una formula pubblicitaria delle Forze Armate battezzata “Caserme aperte”, il concerto dell'astro popolare Claudio Baglioni si tenne alla Monfenera.
SA FERULA Il “fritto misto del golfo” - il nome dato al cartellone estivo che shakerava generi, tendenze e mode musical-culturali assai diverse - prevedeva anche l'aspetto autoctono, con i concerti dei cantautori sardi Franco Madau e Piero Marras e soprattutto la seconda edizione all'anfiteatro di “Sa ferula”, festival del folklore mondiale. Che abbinava arditamente un Gianni Minà presentatore coadiuvato da Marina Perzy (valletta di Domenica in che infilava papere), la comicità di Alto gradimento di Giorgio Bracardi col fascista Catenacci, le stelle del balletto del Bolscioi di Mosca, le canzoni di Gino Santercole e Stefano Rosso, un pezzo sardo eseguito al piano da Stelvio Cipriani, poesie recitate da Warner Bentivegna e Rossella Como, un motivetto cantato da Ninetto Davoli.
“Sa ferula” festival morì l'anno dopo ma resta - nel suo bizzarro miscuglio di artisti eccellenti, popolari e mediocri, stelline scosciate, tromboni del palco, raffinati folksinger, meteore tv - il più calzante esempio di programmazione estiva che avrebbe segnato gli anni a venire. Un “fritto misto del golfo”, appunto.
Sergio Naitza