“I Territori dell'Arte”, una mostra che potrebbe diventare permanente
Su tutti spicca “La Filatrice” di Ciusa
Vedi la foto
«Scompaginare un poco per poi riannodare i fili. Conoscono un nuovo assetto i begli ambienti del Palazzo di Città che da ieri ospitano una mostra che ha due maiuscole nel titolo: “I Territori dell'Arte”. Chiaro l'intendimento di Anna Maria Montaldo, direttore dei Musei Civici. Le nostre collezioni hanno bisogno di essere valorizzate, di abbandonare i magazzini e i depositi in cui sono spesso relegate. E di offrirsi allo sguardo dei cagliaritani e dei forestieri in modo più dinamico e concreto. Ad esempio, accostando le opere degli artisti sardi del Novecento a quelle, non meno eccelse, del grande artigianato. Non è difficile trovare rispondenze nel percorso organizzato ai piani superiori del Palazzo che fu sede del primo municipio cittadino e sorge nel cuore del quartiere di Castello. Nella prima sala, i bottoni sulla camicia bianca della “Giovinetta di Orani” ritratta da Mario Delitala sono identici a quelli esposti nella teca degli antichi gioielli. Orecchini, amuleti, rosari, scapolari. E spille, assai simili al monile che Melkiorre Melis con nettezza dipinge sul manto di una donna. Due manichini con indosso il costume cagliaritano introducono alla sezione dedicata al paesaggio cittadino. Il porto, i bastioni, Santa Gilla, il Terrapieno che Foiso Fois rappresenta pieno di luce, con le palme e le panchine.
La “Filatrice” di Francesco Ciusa è posta al centro di una zona che esibisce i tappeti, i copricasse e gli arazzi della Collezione Manconi- Passino. La scultura (una fusione in bronzo dal gesso datata 1939) ha al suo sommo un fuso e ben si accorda agli orditi realizzati da ignote abili tessitrici che sapevano il segreto delle erbe tintorie e riproducevano al telaio, stilizzandole, le forme della natura. Le bisacce - come i filet custoditi nei cassetti protetti dai cristalli, e i nastri per le spose, le bardature per i buoi, le tovaglie, i giroletto- si accompagnano ai cavalli di Pietro Antonio Manca, alle portatrici d'acqua di Pietro Collu, alle scene sull'aia di Cesare Cabras.
Il raffronto - o dialogo, o rimando - continua al cospetto delle ceramiche del Fondo Ingrao. Zuppiere e piatti, boccali e terrine, orcioli e borracce in terracotta invetriata fronteggiano le incisioni di Dina Masnata, di Felice Melis Marini, di Anna Marongiu. E la natura morta firmata Guido Cavallo e i vasi di fiori di Giovanni Battista Rossino.
A raccontare la Sardegna del Novecento anche, tra gli altri, Giuseppe Biasi, Remo Branca, Stanis Dessy, Dino Fantini, per un totale di circa una ventina di nomi. Importante, per la curatrice Anna Maria Montaldo e per il suo staff, il rapporto tra la stratificata architettura del Palazzo di Città e il Duomo, la Torre di San Pancrazio, le strade del quartiere, i porticati, il mare giù in basso. A ragione, l'itinerario inizia con una celebre incisione di Felice Melis Marini che riproduce il portale del Duomo. I “Territori dell'Arte” potrebbe diventare un'esposizione permanente. Essere, dunque, una sorta di punto fermo del nuovo corso preannunciato dall'assessore alla Cultura Enrica Puggioni.
Confermata l'acquisizione delle sculture di Mimmo Paladino destinate ai Giardini Pubblici, ci sarà spazio per gli artisti sardi contemporanei che andranno ad occupare sedi già individuate ma per ora non meglio precisate. Nel programma istituzionale laboratori, retrospettive, residenze d'artista. Esortazione: siamo sardi ma apriamoci al mondo.
Alessandra Menesini