Manifestazioni di fede e tradizione nella partecipazione delle confraternite e dei devoti
CAGLIARI Una volta all’anno il pallino liturgico delle feste passa dalle mani del clero a quelle dei laici. Sono, infatti, i fedeli i veri protagonisti delle rievocazioni della passione, morte e risurrezione di Cristo. Le organizzano, le realizzano, le custodiscono gelosamente. Ben quattro arciconfraternite - del Gonfalone e degli Artieri nel quartiere di Stampace, della Solitudine e del SS. Crocifisso a Villanova - si attivano da secoli per far rivivere in città i giorni fondamentali della religione cristiana. «Il capoluogo - dice Mauro Dadea, archeologo e studioso di tradizioni religiose - diventa un immenso palcoscenico dove la gente rievoca le ultime vicende terrene di Gesù. Tutti diventano protagonisti: i confratelli che portano e accompagnano i simulacri, i fedeli impersonando quasi le folle di Gerusalemme, anche gli spettatori per caso che assistono con ammirazione, curiosità o autentico interesse culturale allo snodarsi della varie fasi della processione e delle paraliturgie». Molti attori, ma nessuno recita. «Un attaccamento così tenace - aggiunge Dadea - non deriva sempre da una riflessione teologica, ma da motivazioni varie di carattere prevalentemente psicologico: l’individuo, nelle sofferenze di Cristo e di sua madre, rivive ed elabora le proprie e nell’evento gioioso della resurrezione trova un indispensabile motivo di fiducia e speranza». Una tradizione, tra le più ricche complesse dell’isola, vera miniera di cultura religiosa popolare. « Ma non sempre il clero è preparato per capirne l’utilità ai fini della la predicazione del Vangelo», commenta Mauro Dadea. Nella settimana più importante dell’anno liturgico riti antiche e storiche processioni aiutano a svelare i principi fondamentali della fede. Si inizia con la processione dei Misteri, in pratica una grande “via crucis”. Si prosegue con la visita alle sette chiese, al termine della messa in “Coena domini”, con lo stesso Sant’Efisio vestito a lutto rendere omaggio a “su monumentu” l’altare in cui Cristo è riposto. Il venerdì santo è il giorno dell’innalzamento della croce, de “s’incravamentu”, il sabato de “Su scravamentu”, la deposizione. Folclore? «Tradizione e devozione - aggiunge Dadea - si compenetrano e si sostengono a vicenda. Non c’è né folclore, né spettacolo. I confratelli credono fin dal profondo dell’animo a quel che fanno. Vivono con sincerità qualche volta fino alla commozione tradizioni che fanno parte del patrimonio identitario della città. “Il modo migliore è farle conoscere, portarle nelle scuole, presentarle ai giovani. Quel che la politica non deve fare - conclude Dadea - è pagare, come si fa in Spagna, le persone che organizzano queste manifestazioni. Si rischia di folclorizzarle. Sarebbe la fine». Mario Girau