Dallo stadio al Municipio
Enrico Pilia
Non volano più solo gli stracci. Non c'erano solo politica e diplomazia ruspante, dietro il confronto fra il Comune e il Cagliari. Adesso è finita davvero, almeno fino al termine del campionato la città non avrà più la sua squadra di calcio. E con quella montagna di denaro che passa dalle mani di Cellino a quelle - si fa per dire - di Zedda, la questione sbarca ufficialmente nelle aule del Tribunale. In Italia, non era mai accaduto e già questa è una notizia. La frattura insanabile, salvo clamorosi colpi di scena, fra il Comune e il Cagliari arriva nel giorno in cui la squadra vola a Trieste, il punto più lontano possibile da questa bufera non solo sportiva. Si chiama fallimento, per essere teneri.
D'accordo, il pallone non è “il” problema di una terra, di una città dove il degrado cresce, la miseria è dietro ogni angolo e le priorità sociali sono sicuramente altre. Ma quando la politica non arriva a chiudere positivamente questioni così pubbliche, quando uno strappo come questo occupa le prime pagine e i tg nazionali, allora ci si accorge del peso che ha il calcio sulla scena e quali possano essere stati gli errori, di Zedda e di Cellino. E di chi ha preceduto il sindaco targato Sel, collocato sul trono di via Roma grazie a una potente ventata di rinnovamento ma con la collina dei casi irrisolti che comincia a fargli ombra. Zedda si è trovato fra le mani una vicenda scivolosa, l'ha gestita di petto con l'obiettivo di garantire al Comune quanto dovuto e assistendo al tentativo di Cellino di cominciare a Elmas una nuova avventura. Lui, il presidente, prigioniero di un carattere non facile, non riesce a disegnarsi addosso un presente sereno. E ora, stravolto da un'ennesima guerra, minaccia di andarsene. Ma chi ha perso davvero?