Rassegna Stampa

Sardegna Quotidiano

«I “miei” cagliaritani così veri ho guardato nella loro anima»

Fonte: Sardegna Quotidiano
2 aprile 2012

ROSARIA FLORIS

 

Sveglia alle 6.30, felpa, scarpe da tennis e zainetto. Destinazione: Cagliari e la sua anima. Per Rosaria Floris la chiamata è arrivata all’improvviso. E prima di addentrarsi nei segreti della città del sole, ha lasciato il bigliettino del torno subito per rassicurare marito e figli che ancora dormivano. «Ho ritrovato il profumo del pane fresco, l’odore insistente del caffè, il vociare delle pie donne che aspettavano l’apertura della chiesa di San Mauro». Da qui l’idea per un libro sui personaggi cagliaritani, incontrati a casa loro o al bar, come Gigi Riva che le ha rivelato la sua anima pacifista. Mi ha colpito il ritratto di Antonio Romagnino. Lamentava una Cagliari moderna con le finestre e i balconi chiusi al dialogo. Il professore ricordava i rapporti stretti con su bixinau e su fastiggiu, il dialogo tra innamorati che avveniva senza voci, solo con la mimica, lui in strada e lei sul balcone. E c’era pure da ridere per gli spasimi del barbiere di via San Giovanni, che si augurava di vedere la sua bella “in sa sillietta” Che sarebbe? Il grande vaso da notte, quello alto, immancabile nella stanza degli sposi.

Davvero romantico... E suo marito come la corteggiava? Eravamo compagni di scuola ed ero convinta che neppure mi considerasse. Invece una mattina al Poetto la rivelazione. Sposa a diciotto anni e viaggio di nozze a Roma. L’ho sconcertato perché ho voluto visitare subito i palazzi della politica. Già allora impegnata... Mio padre era ferroviere e sindacalista, mia madre insegnava alla manifattura Tabacchi dove ci fu il primo sciopero in Sardegna, organizzato proprio dalle donne. Eppoi ero affascinata dai racconti di babbo sulle partigiane della Resistenza, sul loro eroismo. Un uomo che mi ha trasmesso il senso della giustizia, della dignità personale, del sapersi prodigare per la povera gente. E lei non si è risparmiata... Una spinta fortissima mi ha portato ad occuparmi di chi soffre, a cominciare dai detenuti. Un’esperienza che mi ha segnato nel profondo e la rimpiango ancora. Ricordo un otto marzo passato a Buoncammino con le ragazze, una era in cella con la bambina. Come vede ancora mi commuovo. Le nostre avevano problemi con la droga, quasi sempre per spaccio, mai prostituzione.

C’erano anche momenti divertenti, come al concorso di poesia, quando una ragazza presentò come sua una bellissima lirica di Prevert. E con i detenuti? Il dialogo era sempre aperto anche ai loro problemi. Abbiamo realizzato un gazebo stile liberty, proprio davanti al carcere, dove si vendono gli oggetti prodotti in cella, compresi i pizzi e i merletti delle donne. Con la Caritas, dai cappuccini in viale Fra Ignazio, siamo riusciti a mettere a disposizione tre stanze per accogliere i detenuti in permesso e i loro parenti venuti da fuori. Un pianeta sconosciuto. L’ho scoperto al centro d’ascolto, dove scopri che molte famiglie non hanno neppure i soldi per la bombola e vengono a chiederti aiuto. Un’umanità sotterranea, che vive di sofferenza in una città apparentemente scintillante. E i barboni che vivono in strada? Ho conosciuto quel signore che sotto i portici di via Roma gioca con il gatto e il topolino, ma non ha voluto apparire nel mio libro. So soltanto che era in Marina, poi ha perso il posto ed è stato lasciato dalla moglie. Anche altri non hanno voluto pubblicità? I parenti di un professore universitario, che mi ha raccontato un episodio toccante. Gli portano in clinica una bambina moribonda. I genitori gli lasciano un pacco, dicendogli di aprirlo quando sarebbero andati via. C’era una piccola bara bianca, ma non è servita perché la bambina si è salvata.

Chi è stato il suo sponsor? Efisio Lippi Serra, il medico di tutti, monarchico convinto. Aveva letto qualcosa di mio e mi ha chiamato al cellulare mentre sfilavo a Nuoro alla marcia della pace organizzata da don Ciotti. Devi pubblicare un libro, devi farlo, mi diceva. E così è stato per il primo libro dedicato a mio padre. Poi ne sono seguiti altri due. Mi svela il segreto delle sue interviste? Tempo, pazienza e molto tatto. Si deve entrare in sintonia con l’interlo - cutore, fargli aprire l’anima e molti sono felici di confidarsi. Ho trovato storie incredibili. Pensi al guardiano del cimitero monumentale di viale Bonaria. Rimasto vedovo, si innamorò della statua meravigliosa di una signora. La riempiva di fiori. Alberto Testa