Il Cagliari e l'operazione Trieste
Michele Ruffi
Trieste scalpita, perfino Malta chiede di ospitare il Cagliari. E ci sarebbe da ridere, se non fosse che i tifosi, invece, notano più l'aspetto grottesco della vicenda: tutti hanno uno stadio degno di questo nome, pure un'isoletta dove vivono a malapena 400 mila persone, tranne noi.
Dicono: è l'ennesima trovata di Cellino, alla fine si giocherà al Sant'Elia, e tante grazie sia agli amici friulani che a quelli maltesi. Il vero problema di questo dilemma, che si risolverà solo all'inizio della prossima settimana, è un altro: passa quasi in secondo piano il fatto che la città non abbia uno stadio adeguato alla Serie A. Perché anche se il Comune dovesse riuscire a chiudere il cantiere dei Distinti in tempo per la sfida con l'Inter, non si avrebbe la certezza di poter disputare la fine del campionato qui, in casa. L'ultima parola spetta a chi ha chiuso quelle tribune a gennaio, cioè la prefettura. Quindi dovremo attendere con il fiato sospeso il sopralluogo - l'ennesimo - della commissione di vigilanza, che non ha un esito scontato. Non è un caso che il Cagliari fino a venerdì (nonostante la vicinanza di un match fondamentale come quello con l'Atalanta) abbia lavorato all'operazione “Trieste”, come se le rassicurazioni del Municipio non fossero mai arrivate. E pure la Lega ha mandato i propri ispettori al “Rocco”. Possibile che avessero tutto questo tempo da perdere, se il Sant'Elia è pronto per essere riaperto?
La verità è che il Comune sta accelerando (per fortuna), e probabilmente riuscirà a installare le reti entro la prossima settimana. Se tutto andrà bene, i Distinti (capienza circa 3000 persone, che non serviranno a raggiungere quota 20.000) riapriranno, impacchettati da centinaia di teloni verdi da cantiere di chissà dove. C'è da esultare?