Al Teatro Lirico di Cagliari applaudito connubio con il giovane pianista romeno Andrei Licarest
di Gabriele Balloi wCAGLIARI Cosa ancora non si è detto sulla direzione di Anthony Bramall? Già lo apprezzammo ne «La Valchiria» con la regia di Krief, nel «Requiem» di Verdi, nella «Seconda Sinfonia» di Schumann o quant’altro. Il Lirico sa d’investire sul sicuro quando chiama a dirigere sul palco cagliaritano il maestro londinese. E se, qualche anno fa, funzionò il binomio Pedroni-Bramall, venerdì al Comunale è riuscito non meno il connubio con il grande Andrei Licaret, nel «Concerto n.4 per pianoforte e orchestra» di Beethoven. Appena ventisettenne, il pianista rumeno ha comunque un approccio lucido all’architettura beethoveniana, non per questo risparmiandosi in impeto espressivo. La padronanza tecnica gli permette poi di tener testa ai lunghissimi doppi trilli, doppie terze, arpeggi, scale torrenziali, od ogni altra sorta di peripezia con cui Beethoven ha fermentato cadenze e sviluppi tematici. Con il validissimo aiuto di Bramall instaura la giusta complicità dialogica assieme all’orchestra. Ben reso è difatti l’impianto colloquiale del primo tempo. O anche i netti contrasti fra solista e compagine, nel secondo, con quegli sbalzi emotivi che preconizzano il sinfonismo bruckneriano, e la voce del pianoforte, lunare e introspettiva come a profetizzare Chopin, ma composta e austera come un corale di Bach. Solo nel terzo movimento, qualche volta, vien meno a Licaret il precedente nitore. Nell’insieme, tuttavia, il tocco pianistico rimane sempre abbastanza vivido e deciso, capace di discrete escursioni sul piano della dinamica e d’una buona articolazione nel fraseggio. In programma, inoltre, nel concerto di venerdì era l’ouverture «Die Hebriden» (Le Ebridi) di Felix Mendelssohn, di cui Bramall ha una concezione piuttosto frugale ed equilibrata: nessun eccesso coloristico, tempo moderato, sottolinea garbatamente le curvature melodiche, la sinuosità del motivo centrale, attraverso un’eleganza tutta «british», e qualche guizzo in più giusto nella seconda metà, verso il finale. Pulizia e precisione soprattutto paiono evidenti in Mozart, «Sinfonia n.41 in do maggiore K.551» la arcinota «Jupiter», per niente scontata invece nella lettura di Bramall.Un Mozart, insomma, illuminato nelle tinte e illuminante per interpretazione. Il pubblico ha aprezzato e lungamente applaudito. ©RIPRODUZIONE RISERVATA