Non hai mai avuto una sua casa
Luigi Almiento
La prima spesa che una famiglia taglia, in tempi di magra, è quella per la cultura: nutre l'anima ma non il corpo, e finché al market manterranno quel brutto vizio di chiedere ai clienti di pagare (sempre di più) ciò che hanno messo nel carrello (sempre di meno), le famiglie continueranno a risparmiare su libri, spettacoli teatrali e concerti. E pure sui viaggi, tanto per privarsi anche del dovere di conoscere che cosa c'è oltre il muro di recinzione di casa propria.
Il problema è che anche gli enti pubblici, in tempo di crisi, tagliano sulla cultura, un settore nel quale la musica ha un ruolo di primo piano. Mancano gli asili, la sanità è carente: figuriamoci se i Comuni possono spendere per i concerti pop. Vero, ma solo in parte, perché è un ragionamento contabile, e la vita di una comunità non può essere gestita con la sola ragioneria. Se così non fosse, nulla è più in perdita della scuola: costa molto e non produce nulla (nell'immediato), quindi perché non eliminarla del tutto?
La questione è complessa, inutile tentare di risolverla con slogan. Non salta subito all'occhio, ma quando una famiglia in difficoltà economiche taglia gli investimenti sulla cultura, aumenta la probabilità che anche i figli saranno in difficoltà economiche. Senza cultura, le menti restano chiuse a quanto non si sa già. Le idee non vengono.
Molti grandi musicisti, dalla classica al pop, sono stati folgorati da un concerto che ha acceso in loro una passione, ha indicato una strada da seguire. Il bollettino delle previsioni artistiche del 2012, a Cagliari, prevede zero nuovi folgorati, zero anime musicali in grado di avere consapevolezza di sé: perché non ci sono spazi per la musica, a causa della crisi. Ma anche perché nessuno li ha creati quando le cose andavano meglio.