Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«La cultura è a rischio»

Fonte: L'Unione Sarda
7 marzo 2012

L'attore apre una polemica col Comune su contributi e spazi

L'allarme di Faticoni: compagnie maltrattate

Mette in guardia il mondo della cultura, Mario Faticoni, che trent'anni fa ha fondato il Teatro dell'Arco. Spazio chiuso definitivamente dopo che il Demanio, proprietario dell'immobile, l'ha concesso con una gara d'appalto, vinta dall'imprenditore Massimo Mazzei. «Se si continua così», afferma uno dei padri del teatro sardo contemporaneo, «altri gruppi possono fare la stessa fine del Crogiuolo», la compagnia che dirige assieme all'attrice e regista Rita Atzeri.
Qual è il rischio per le altre compagnie?
«Innanzi tutto è d'obbligo distinguere: ci sono perlomeno delle compagnie storiche, le tre “A” e le due “C”: Actores Alidos (a Quartu), Akroama, Alkestis, Cada die e Crogiuolo, che meritano un trattamento diverso».
Sia più chiaro.
«Queste cinque hanno già superato gli esami, hanno dimostrato la loro validità culturale. Non dovrebbero avere fastidi di tipo burocratico, partecipare a bandi per avere uno spazio. Ma le pare che Cada die debba lottare per avere un teatro?»
E cosa dovrebbe fare il Comune per salvaguardarle?
«Dare loro gratis un palcoscenico. Studiare cos'è il teatro in Europa».
Ovvero?
«In altri paesi direbbero: “Maestro, si accomodi, abbiamo bisogno di Lei”. Perché il teatro svolge una funzione pubblica. La cultura è un bisogno primario, come mangiare e dormire. Va affidata a professionisti provati, con rapporti fiduciari».
E qui cosa succede?
«L'assessore comunale alla Cultura, Enrica Puggioni, ha fatto un discorso di gare, di parità, di liberalizzazioni. Ma la sinistra non fa liberalizzazioni, fa investimenti. Chi fa un corso di dizione e poi s'improvvisa maestro non può rivendicare gli stessi diritti di un Marco Parodi. Ma ci pensa?»
A cosa?
«Parodi, uno che ha fatto una carriera prestigiosa, che da noi ha inventato Sa Die , la Notte dei poeti, il Circuito teatrale regionale (Cedac), a Cagliari non viene tolto dal mazzo generale».
Con il suo discorso non si rischia di riproporre la tutela dei “grandi vecchi” a discapito dei giovani?
«No. Oggi sembra che il sostegno sia solo finanziario. Alle formazioni recenti si possono offrire spazi e servizi comunali per i service luci e audio, l'informazione, magari con una pubblicazione apposita, la pubblicità, la promozione scolastica. “Meno soldi, più servizi”, il vecchio slogan socialista. Credo valga anche per le buone versioni del capitalismo. In tutti i casi in Europa si fa così da decenni».
E qui negli ultimi trent'anni invece cosa si è fatto?
«Svilimento, insofferenza, sopportazione da parte degli intellettuali. La politica ha seguito: contribuzione a pioggia, confusione dei valori, cioè teatro inefficace, crollato ogni anelito “eversivo”. Si è fatto spettacolo, intrattenimento, non cultura. Se non apre ferite, se non fa riflettere, che teatro è?».
La colpa è anche delle compagnie.
«Certo, noi commettiamo i nostri bravi errori. Il principale è essere caduti nella trappola dell'aziendalismo imposto dalle istituzioni senza garantirci che loro avrebbero regolato il settore. Non poteva, ad esempio, esserci una gara per la gestione dell'Auditorium di piazza Dettori ?».
Lo vorrebbe lei?
«È troppo tardi. Non ci fu gara. Ecco: le gare ci possono essere, ma con requisiti artistici, più che economici. In quel caso vi sarebbero stati più aspiranti, e con le carte altrettanto in regola. Noi, oggi, dopo la scottatura che abbiamo preso con la perdita del Teatro dell'Arco, non sappiamo da dove iniziare».
Faticoni e Atzeri gettano la spugna?
«Tutt'altro. Abbiamo una stagione di teatro da camera all'Arcostudio, il teatrino gemello in via Portoscalas 17. Ripartiamo da qui».
Mario Gottardi