La violinista sarda protagonista di un grande concerto per la Stagione del Lirico
GABRIELE BALLOI
Incredibile come possa cambiare, da un concerto all’altro, il suono di una orchestra. Così dopo le tinte scure di una settimana fa, l’Orchestra del Lirico toglie fuori un colore opposto: più chiaro, terso, cristallino. Potremmo forse imputarlo alle pagine in programma? Forse a una maggiore esperienza di Gabor Otvos rispetto al giovane Mantanus. O al ritorno del primo violino Gianmaria Melis, assente nello scorso appuntamento. Si sa che il primo violino è un po’ il secondo timoniere di ogni compagine orchestrale. E potrebbe fare la differenza. Se poi si aggiunge come violino trainante anche Anna Tifu, non meraviglia che l’esito sia ragguardevole. La giovane musicista è un talento di livello internazionale. Ha vinto perfino il prestigioso Concorso «Enescu» eseguendo il «Concerto in re minore op.47» di Sibelius. Lo stesso di venerdì e sabato al Comunale.
L’interpretazione della Tifu è energica, scattante, ma in fondo neanche troppo muscolosa o sanguigna, anzi, sembrerebbe intenta, piuttosto, a cercare un flessuoso garbato fraseggio perfino nei passaggi più ostici. Con una timbrica lucente, levigata, percorre mirabilmente questa vertiginosa “rapsodia”, che Sibelius ha seminato di pirotecniche evoluzioni, fra doppie note, acrobatiche ottave, suoni flautati, strappate, salti di posizione o quant’altro.
Ovviamente, l’impegno di Otvos ed orchestra non è certo da meno. Eppure, a dispetto della complessità di concertazione fra il solista e le varie sezioni strumentali, il direttore ungherese tiene salde le redini ottenendo, al contempo, notevole policromia di dinamiche. Ma è soprattutto nella Suite n.1 del «Peer Gynt» (con aggiunta della «Canzone di Solveig» dalla Suite n.2) di Grieg che vien fuori una bellissima grana orchestrale, giocata spesso su iridescenze timbriche di sonorità quasi “trasparente”, come guardare attraverso vetri colorati. Soltanto in Richard Strauss, «Till Eulenspiegels lustige Streiche» e «Walzerfolgen» (dal «Der Rosenkavalier»), Otvos ricava un impasto poco più denso e acceso, dando pieno rilievo al carattere rutilante della musica straussiana, così ricca di sofisticati e ironici retrotesti.