SIPARIO, I DOPPI SOGNI DELLE DUE PALMETTE
di Carlo Antonio Borghi
La vita è sogno e quando non è sogno è teatro e quando non è teatro è scontro sociale. Mezza sala. Chi è di scena? La scena è quella del Cine Teatro 2 Palme in Manifattura Tabacchi, a Cagliari. Buio in sala. Entra una Palma. È Paloma, di ritorno da un giro in via Roma. Entra un’altra Palma, appena più bassa. È Palmira e si aggira. La platea è strapiena. Solo posti in piedi. Un’orchestra, racchiusa nel golfo mistico, suona il Concerto per due flauti in Do maggiore, di Vivaldi. Tutto diventa verde. Verde Vivaldi. Le lunghe foglie di palma frusciano come violini. Paloma lancia il suo strale. “Il Socialismo Reale Centralista e il Neoliberismo Ultracapitalista, hanno fatto lo stesso errore, quello di ideologizzare l’economia ed eccoci qua, a raschiare fondi di barile e a fare la peggiore guerra che possa capitare, la guerra tra poveri”. Lo dice sporgendosi pericolosamente dal cornicione del proscenio. Palmira la prende per i capelli e la tira indietro. La sala verde tira un fiato di sollievo. Tocca a Palmira. “Ho sognato che tutte le palme del lungomare erano morte, che le avevano buttate in mare e che al loro posto erano state piantate croci grandi come quelle del calvario e chi voleva poteva andare a farsi crocifiggere, dai crucificatori “Tutte le palme del lungomare erano morte. Al loro posto erano state piantate croci grandi come quelle del calvario” comunali ”. Tutti, in sala, sanno che le palme sono sotto attacco da parte del Punteruolo Rosso, coleottero killer. Entra in scena un Visir, carico di catene d’oro. Canta: Palomè, Palomè, danza per me che sono triste, tanto triste senza di te che non danzi per me. Offre polsiere e cavigliere tempestate di pietre. Le due Palme lo odaliscano, fingendo di danzare per lui, poi lo soffocano, avviluppandolo con le loro foglie tentacolari. “Se tutti quanti siamo il 99% –tuona Paloma – non possiamo farci mettere sotto dall’1%”. “Nel sogno – rac - conta Palmira –c’erano file di bancarelle che vendevano chiodoni, martelli, pinze, lance, spugne per l’aceto, corone di filo spinato”. Il pubblico in sala non ha mai applaudito. Hanno tutti le mani legate e una palla al piede. Non possono andare neanche alla toilette o al bar del teatro. Paloma: “L’epidemia che ci spazza via si chiama sofferenza sociale urbana e ci erode uno dopo l’altro, uno con l’altro, proprio come faceva Erode, ai tempi del Battista”. In Manifattura, al tempo dei Tabacchi Nazionali, le sigaraie dovevano essere giovinette dotate di dita lunghe e sottili, per arrotolare al meglio i sigari. Ora, dicono che si fabbricherà creatività, con o senza filtro. Entrano in scena un pupazzo di donna e un pupazzo d’uomo. Lei è Monia, sarda. Lui è Peres, algerino. Il loro primo atto l’hanno messo in scena a Buon Cammino. Commedia carceraria con finale di morte violenta, ognuno per conto proprio. Non si erano mai visti prima, neanche al foyer della galera. Si sono incontrati dopo morti, una volta suicidati. Hanno recitato a soggetto, in cella, ognuno nel suo gabinetto. Prova generale. Secondo atto: Monia e Peres sono in scena. Il cappio lo portano rigirato intorno alla vita. Hanno da raccontare, a due voci strozzate, tutto ciò che non hanno confessato ai giudici e molto più. Si tengono per mano. Ci sono palme e ulivi, benjamini e gelsomini ma non siamo in paradiso. Sipario.