Renato Palumbo ha diretto l’Orchestra del Lirico in musiche di Debussy e Faurè
GABRIELE BALLOI
CAGLIARI. La letteratura musicale, sappiamo, è costellata di trascrizioni e rimaneggiamenti. Spesso capita, addirittura, che abbiano in sorte una fama e una diffusione maggiori rispetto agli originali.
Un po’ come le partiture, giorni fa al Comunale, dirette da Renato Palumbo. A farla da padrone è stata la musica di Gabriel Fauré, sebbene in apertura non mancasse, doveroso, l’«Omaggio a Debussy» nei 150 anni della nascita, tributo che la Stagione del Lirico dilaziona nell’arco di ben sette concerti. Il turno era quello di «Printemps» un esempio di rielaborazione strumentale successiva ad una prima stesura. Henry Büsser, anche stavolta, è l’autore del rifacimento. Ma se la «Petite Suite» - eseguita due settimane fa - venne trascritta postuma, la versione più nota di «Printemps» fu realizzata sotto la supervisione dello stesso Debussy. Palumbo, più di Grazioli, può quindi esaltare gli aspetti coloristici di una composizione ispirata fra l’altro al dipinto di Botticelli. Un profluvio di emanazioni sonore dal timbro cangiante, un dittico di infiorescenze tematiche che si sviluppano quasi per gemmazione. Certo non è raffinato come «La Mer» o i «Nocturnes», eppure ne possiede, in parte, la stessa freschezza e “delicatezza” impressionista. Il carattere diafano, etereo, sognante, il brulicare variopinto di innumerevoli riverberi: ecco ciò che Palumbo preferisce evidenziare, a dispetto delle figurazioni melodiche ancora, qui e là, dal retrogusto un po’ sospiroso. Stesso discorso vale per Fauré. È un altro Henri che rielabora «Dolly», tale Rabaud, trasponendo per orchestra una pagina ideata per pianoforte a quattro mani. Un non so che di elegiaco troviamo nella lettura di Palumbo, che fa pensare più al sentimentalismo del britannico Elgar che non, magari, alla tenera giocosità puerile di «Jeux d’enfantes» di un Bizet. Forse per preparare l’Orchestra ai titoli seguenti, «Pavane» e «Requiem», più mesti. Discreta la prestazione del coro, istruito da Marco Faelli. Mentre solisti nel «Requiem» erano il baritono Paolo Coni, timbrica nitida, chiara, anche se non di grandissima risonanza, e a momenti leggermente monocorde sul piano espressivo; e poi il soprano Anna Corvino, vocalità un po’ chioccia e zuccherina, dal tono materno, ma d’una certa efficacia, nell’interpretazione del «Pie Jesu». In generale la direzione di Palumbo è meno convincente nel «Requiem», con esiti discontinui, alcune scelte di tempo forse discutibili, ma nell’insieme si lascia apprezzare.