Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

La commozione di fronte agli operai: «È ancora peggio di quanto pensassi»

Fonte: La Nuova Sardegna
21 febbraio 2012





Il dono dei cassintegrati: un caschetto rovinato dalle battaglie di piazza

UMBERTO AIME

CAGLIARI. Il presidente ascolta, chiede, vuole sapere. Non è un testimone. Partecipa, domanda, scrive, sempre più fitto. È scosso dal regalo degli operai. Un caschetto, color argento vivo, consumato, ammaccato sull’asfalto delle fabbriche morte, in agonia, sul marmo del Consiglio regionale, occupato, nelle mille, nelle troppe battaglie in piazza. Sono cicatrici indelebili. Profonde come l’attimo in cui, nella Sala Rossa del prefetto, concluso il giro panoramico e di Stato all’inferno, Eurallumina, Carbosulcis, Keller, Queen, Legler, Alcoa e Vinyls, il presidente scopre e sa, in flagranza di disperazione, che quanto ha ascoltato, è un dolore grande, immenso. Soprattutto per lui, che dirà: «È un quadro ancora più drammatico di quanto pensassi. Sono rimasto colpito dalla sofferenza dei lavoratori». È turbato, oltre l’immaginabile, oltre il protocollo, se è vero - come racconteranno in molti - che Napolitano, alle 18.10, alla fine dall’incontro con i consigli di fabbrica, fabbriche chiuse, mezzo-chiuse o fantasma, arriverà a commuoversi. Davanti a tutti. È stato quando la sua mano destra ha sfilato gli occhiali, per lasciarli cadere fra gli appunti e poi farla scorrere lenta dalle sopracciglia al mento. Percorso di una sofferenza toccata, sentita, provata. Dal vivo, sulla pelle, dopo le parole degli operai Katia Contini, Emanuele Manca, Gianluca Giorri, Marco Deledda, Stefano Meletti, Corrado Marongiu e Massimo Cara, ovvero la «Sardegna reale» e in ginocchio. Come lo sono le Partite Iva al di là delle transenne, gli indignados col megafono sulle scalinate della Cattedrale, o i pastori esclusi con dolo dall’agenda. Ma che il presidente vuole aiutare, perché altri, a Roma, negli anni, sono fuggiti di fronte al male commesso, o ancora peggio non hanno mantenuto le promesse. Contro gli illusionisti, prima dell’incontro con le forze sociali, Napolitano se la prenderà con parole dure: «Questa è una crisi incancrenita». Serve una scossa. Anche questo ha giurato che farà, col governo. «Non ci lascerà da soli nella tempesta», sarà la sintesi di Mario Medde, segretario regionale della Cisl, dopo aver letto il diario di una Sardegna-Titanic: la disoccupazione è al 24 per cento, con tanti giovani precari e senza futuro, in cui un quarto della popolazione è travolta dalla povertà, mentre il resto annaspa. Punita anche da uno Stato che non onora gli impegni e ancora meno i crediti e «neanche si ricorda più cosa sarebbe dovuto essere il Piano di Rinascita». In cui il sindacato crede ancora, e che ora nel presidente ha trovato un interlocutore attento: «Gli abbiamo chiesto di avere finalmente pari opportunità nello sviluppo, nei finanziamenti, nella scuola, nei servizi sociali, negli uffici pubblici e nelle infrastrutture», dirà Enzo Costa, segretario regionale della Cgil, dopo sessanta minuti di confronto serrato. Da qui la Sardegna vuole ripartire, con Francesca Tilocca, segretario della Uil, («Abbiamo rilanciato il ruolo delle donne nella nostra società»), con Gavino Sini dell’Unioncamere, con Luca Murgianu, portavoce degli imprenditori («Che attendono risposte giuste e rapide per crescere e far crescere tutta la Sardegna») e con un applauso liberatorio e ottimista dopo le ultime parole del presidente, queste: «Da adesso in poi, seppure nella difficoltà del momento, lo Stato qui dovrà mettere in atto solo iniziative serie e durature, per restituire subito sollievo a questa terra». C’è una nuova speranza, purché - dirà ancora Costa - «noi sardi riprendiamo a lottare insieme per un obiettivo comune». Che non sarà il paradiso, ma almeno non continui a essere l’inferno.

 

La commozione di fronte agli operai: «È ancora peggio di quanto pensassi»



Il dono dei cassintegrati: un caschetto rovinato dalle battaglie di piazza

UMBERTO AIME

CAGLIARI. Il presidente ascolta, chiede, vuole sapere. Non è un testimone. Partecipa, domanda, scrive, sempre più fitto. È scosso dal regalo degli operai. Un caschetto, color argento vivo, consumato, ammaccato sull’asfalto delle fabbriche morte, in agonia, sul marmo del Consiglio regionale, occupato, nelle mille, nelle troppe battaglie in piazza. Sono cicatrici indelebili. Profonde come l’attimo in cui, nella Sala Rossa del prefetto, concluso il giro panoramico e di Stato all’inferno, Eurallumina, Carbosulcis, Keller, Queen, Legler, Alcoa e Vinyls, il presidente scopre e sa, in flagranza di disperazione, che quanto ha ascoltato, è un dolore grande, immenso. Soprattutto per lui, che dirà: «È un quadro ancora più drammatico di quanto pensassi. Sono rimasto colpito dalla sofferenza dei lavoratori». È turbato, oltre l’immaginabile, oltre il protocollo, se è vero - come racconteranno in molti - che Napolitano, alle 18.10, alla fine dall’incontro con i consigli di fabbrica, fabbriche chiuse, mezzo-chiuse o fantasma, arriverà a commuoversi. Davanti a tutti. È stato quando la sua mano destra ha sfilato gli occhiali, per lasciarli cadere fra gli appunti e poi farla scorrere lenta dalle sopracciglia al mento. Percorso di una sofferenza toccata, sentita, provata. Dal vivo, sulla pelle, dopo le parole degli operai Katia Contini, Emanuele Manca, Gianluca Giorri, Marco Deledda, Stefano Meletti, Corrado Marongiu e Massimo Cara, ovvero la «Sardegna reale» e in ginocchio. Come lo sono le Partite Iva al di là delle transenne, gli indignados col megafono sulle scalinate della Cattedrale, o i pastori esclusi con dolo dall’agenda. Ma che il presidente vuole aiutare, perché altri, a Roma, negli anni, sono fuggiti di fronte al male commesso, o ancora peggio non hanno mantenuto le promesse. Contro gli illusionisti, prima dell’incontro con le forze sociali, Napolitano se la prenderà con parole dure: «Questa è una crisi incancrenita». Serve una scossa. Anche questo ha giurato che farà, col governo. «Non ci lascerà da soli nella tempesta», sarà la sintesi di Mario Medde, segretario regionale della Cisl, dopo aver letto il diario di una Sardegna-Titanic: la disoccupazione è al 24 per cento, con tanti giovani precari e senza futuro, in cui un quarto della popolazione è travolta dalla povertà, mentre il resto annaspa. Punita anche da uno Stato che non onora gli impegni e ancora meno i crediti e «neanche si ricorda più cosa sarebbe dovuto essere il Piano di Rinascita». In cui il sindacato crede ancora, e che ora nel presidente ha trovato un interlocutore attento: «Gli abbiamo chiesto di avere finalmente pari opportunità nello sviluppo, nei finanziamenti, nella scuola, nei servizi sociali, negli uffici pubblici e nelle infrastrutture», dirà Enzo Costa, segretario regionale della Cgil, dopo sessanta minuti di confronto serrato. Da qui la Sardegna vuole ripartire, con Francesca Tilocca, segretario della Uil, («Abbiamo rilanciato il ruolo delle donne nella nostra società»), con Gavino Sini dell’Unioncamere, con Luca Murgianu, portavoce degli imprenditori («Che attendono risposte giuste e rapide per crescere e far crescere tutta la Sardegna») e con un applauso liberatorio e ottimista dopo le ultime parole del presidente, queste: «Da adesso in poi, seppure nella difficoltà del momento, lo Stato qui dovrà mettere in atto solo iniziative serie e durature, per restituire subito sollievo a questa terra». C’è una nuova speranza, purché - dirà ancora Costa - «noi sardi riprendiamo a lottare insieme per un obiettivo comune». Che non sarà il paradiso, ma almeno non continui a essere l’inferno.