Il paese intero ha salutato «s’omini mannu»
TIGELIO SEBIS
BARUMINI. Il professore torna a casa, tra quelle «pedras antigas» che, come note sul pentagramma del tempo, gli hanno permesso di leggere la storia dell’isola. E Barumini lo accoglie con l’affetto che si ha per un padre. Quelle pietre delle quali coglieva l’eco della memoria e nelle quali fin da giovanissimo cercò la chiave per penetrare la storia del suo popolo, della sua gente, che amò d’un amore grande. «Appena laureato il nonno Giuseppe gli regalò un fucile per andare a caccia, cosa che non amava, ed un giorno che sulla testa gli passò un volo di pernici, non udendo alcuno sparo, andarono a controllare cosa fosse successo. Lo trovarono intento ad esaminare una pietra», dice il nipote, Egidio Lilliu. Un dialogo muto con le pietre che permetterà poi a Lilliu di dar vita alla storia degli «uomini d’oro». Quelli che abitarono la sua Barumini.
Frammenti di vita familiare che si incrociano con i ricordi dei tanti che ieri pomeriggio non sono voluti mancare per rendergli il giusto omaggio, l’estremo saluto. C’erano intellettuali, artisti e politici che, frammisti alla gente comune, quella che Janneddu amava intensamente, sono arrivati un po’ da tutte le parti per dirgli ancora una volta grazie. Lo stesso grazie che gli ha rivolto il sindaco Emanuele Lilliu, riconoscendo in lui un riferimento assoluto: «Se Barumini può vantare un ruolo nell’ambito dei beni culturali, a livello nazionale ed internazionale, lo deve esclusivamente a lui. E grazie a Giovanni Lilliu se oggi, nel settore del turismo archeologico, siamo la realtà più importante dell’isola, una realtà che riesce a dare lavoro a sessanta dipendenti».
Una eredità culturale, quella lasciata dal grande vecchio, che si riverbera anche nei giovani di Barumini. «Frequento una scuola per guida turistica. Senza la sua leggenda, chissà che corso di studi avrei intrapreso», dice la diciottenne Elena Cotza, mentre l’amica Giulia Piredda gli fa eco sussurrando: «E’ stato un grande». Un sentimento generale, quello de «s’omini mannu», che accomuna tutti. «Quando ne ho avuto bisogno è stato sempre presente. E andato via un padre ed un amico», dice il musicologo Dante Olianas, che ricorda i momenti di convivialità vissuti nel giardino di Pinuccio Sciola, fra il suonatore di launeddas Aurelio Procu ed il professore. «E’ stato il nostro Babbu Mannu. Il più grande politico sardo dopo Gramsci», aggiunge Giampietro Orrù, della compagnia teatrale Fueddu e Gestu. E a segnare la cifra dell’uomo che sapeva rapportarsi con tutti sono i ricordi di Franco Sergi, 65 anni: «Ero ancora ragazzino e, curioso, andavo a vedere negli scavi de Su Nuraxi; uomini che lavoravano duro ed il professore a lavorare con loro. Con noi parlava sempre in sardo».
«Ci ha sempre sostenuto - dice Vincenzo Tiana, di Legambiente - nella battaglia per la creazione del parco di Tuvixeddu». E se per il presidente della provincia del Medio Campidano, Fulvio Tocco, Giovanni Lilliu è stato uno dei padri della riforma agro-pastorale, nel contempo ha saputo dimostrare come la cultura sia fonte di sviluppo e di lavoro. Quella cultura che ha informato la vita dell’ex sovrintendente ai Beni culturali Vincenzo Santoni: «E’ stato il maestro assoluto del megalitismo, l’uomo che mi ha instradato ad un mondo meraviglioso».