Il regista Enrico Pau sulla politica urbanistica della giunta Zedda
ENRICO PAU
CAGLIARI. Ho scoperto in queste ultime settimane che c’è il cemento di sinistra, che non è come quello di destra, è diverso. Quello di sinistra è un cemento che non si può discutere, nemmeno su un piano estetico, come quello del futuro cardampone della casa dello studente, che, ci hanno spiegato, si doveva fare in fretta, quindi: «Si, è brutto! Ma cosa facevamo perdevamo quaranta milioni di euro?». L’architettura che è necessaria, come è necessaria finalmente per la città la casa dello studente, che nessuno discute, può essere anche bella, e a volte riesce a rispettare la storia e la natura originaria dei luoghi, la loro memoria, vedi il meraviglioso Mem. Certo ci vuole un po’ di talento, anche nelle progettazioni più frettolose. Vedere il rendering dove la vecchia nobile semoleria appare sepolta e oscurata da nove esuberanti, voluminosi e anonimi piani fa male «ma - ci spiegano - è inevitabile». Quello di sinistra è un cemento che addolora, come in via Milano, dove con sincera sofferenza, prima l’Assessore, il buon Paolo Frau, poi alcuni giovani contriti consiglieri hanno dovuto prendere atto che era impossibile fermare la palazzina davanti alla Basilica, quella che prima, e durante la campagna elettorale «non si doveva costruire» ma ora invece, perché «la politica vuol dire prendersi le responsabilità, governare, non si può non costruire».
Poi c’è il cemento sostenibile, l’ho scoperto leggendo i giornali, come quello dei nuovi palazzi, ma “piccoli”, che sorgeranno davanti allo stagno di Santa Gilla a pochi metri dalle Torri di Zuncheddu. «Abbiamo chiesto ai costruttori di regalare un grande giardino davanti ai palazzi così riqualifichiamo la zona» dicono gli assessori, si sa il cemento buono riqualifica, è sostenibile e impreziosisce: «il giardino con il buco intorno».
Poi c’è il cemento confuso, quello che va spiegato, quello di una delibera della Giunta che prima che ai soliti ambientalisti non è piaciuta ad alcuni consiglieri, fra i pochi che in queste settimane sono riusciti a mantenere la rotta e la freddezza necessaria per dire quello che pensavano anche prima delle elezioni.
Gli altri hanno spiegato nei loro blog quello che non si poteva spiegare, perché, forse, quella delibera è stata istruita con una certa fretta, sicuramente in modo almeno superficiale, probabilmente dagli uffici comunali, dentro i quali le ragioni dei costruttori hanno trovato sempre conforto e calore umano. Quello che è successo dopo ha avuto alcuni effetti. Gli ambientalisti «ma non tutti», solo i più cattivi, sono ormai rinchiusi dentro un recinto dal quale non potranno uscire per i secoli a venire, per raggiungere lo status a cui ambirebbero di essere chiamati semplici cittadini che amano la città. Sono gli stessi che qualche costruttore definiva talebani e che le giovani speranze della politica cagliaritana sedute in consiglio, che, lo ricordo, solo qualche mese fa erano romantici incendiari, ora guardano con una certa distante, ostile e malcelata insofferenza. Da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato a pensare da solo e a dire sempre quello in cui credo sinceramente, soprattutto agli amici. Credo che sarebbe utile aiutare il nostro sindaco nel suo compito immane, non con il conformismo, ma con la sincerità.
Ho visto che Giorgio Todde l’ha fatto con il solito amore profondo per il corpo della città, con la sua poesia che a volte può essere anche aspra, ma è necessaria a Cagliari, come erano necessari gli anatemi di Aquilino Cannas, anche lui di Italia Nostra, contro quei “faineris e benduleris” che hanno smembrato i colli di Cagliari nel dopoguerra. Politica vuol dire pensare al futuro, so che Massimo Zedda lo sa, lo dice la sua storia, lo dicono alcune scelte della sua giunta. Prima fra tutte quella di mantenere la promessa di smembrare la legnaia dell’Anfiteatro. Quando tutti i cagliaritani avranno scoperto Tuvixeddu, la sua bellezza, la sua grazia, sarà difficile spiegare ai cagliaritani, ai semplici cittadini, che quei palazzoni e quelle ville di lusso, che quel «nuovo quartiere nel cuore della città, dove abitare non è mai stato così piacevole, lontano dai luoghi comuni» ma vicinissimi alle tombe «non si poteva non costruire».