MARCELLO MADAU
Una lunghissima vita tutta dedicata, con intelligenza e passione, alla costruzione della polis in Sardegna: questo il segno più importante dell’impegno culturale di Giovanni Lilliu. Una rara straordinaria unione fra personalità scientifica e attività civile e sociale.
Non è importante la condivisione o meno delle sue idee politiche (sempre più socialmente progressiste e spesso politicamente indipendentiste), ma la fusione operata fra lavoro professionale e politica. Con posizionamenti clamorosi. Dalla denuncia dei cantieri a fondo sociale della Regione sarda (anni Settanta-Ottanta) al Master Plan del Consorzio Costa Smeralda (anni Novanta), alla battaglia per la salvaguardia del colle di Tuvixeddu a Cagliri.
L’altissimo profilo scientifico della storia di Giovanni Lilliu non è separabile dalla produzione critica di senso e cittadinanza sociale. Impossibile sintetizzare la sua produzione, pur indicando contesti e temi eccezionali come lo scavo di Su Nuraxi a Barumini (poi diventato sito Unesco), il primo corpus sui bronzetti, gli studi sulle statue di Monti Prama (che speriamo non vengano divise in più sedi), l’analisi delle figure femminili preistoriche, l’antesignano articolo sull’arte sarda come arte barbarica, i manuali sull’archeologia della Sardegna (su tutti, «La civiltà dei sardi», nelle sue tante edizioni). Ma è decisamente più adeguato cogliere l’antichità assieme alla costruzione critica della società contemporanea: anche perché questo Giovanni Lilliu ha fatto, di questo dobbiamo parlare.
Lilliu ebbe un’iniziale avvicinamento all’archeologia fenicio-punica, con tesi di specializzazione sulle stele puniche di Sulcis pubblicata magistralmente nel 1944 per i «Monumenti antichi dei Lincei» (testo di un’attenzione e perspicacia - considerando per giunta lo stato delle ricerche disponibili - mai eguagliate). Ma l’approccio non fu certo favorito dal clima delle leggi razziali, che cacciarono dall’isola uno straordinario archeologo, Doro Levi, penalizzando pesantemente tutto quello che riguardava i semiti.
La riflessione fra studi nuragici, fenici e romani lo portò a proporre la nota categoria della «costante resistenziale», secondo la quale, dalla sconfitta nuragica a opera dei Cartaginesi entro la fine del VI secolo a.C. si formarono, attorno agli eredi irriducibili di tale civiltà nelle montuose Barbagie, un nucleo e una cultura di resistenza oppostisi, secolo dopo secolo, alle tante colonizzazioni, arrivati ai giorni nostri. Un proposta discussa, che coglie sicuramente un nucleo reale evocato dalle fonti classiche, ma consegna da un lato le categorie di collaborazionisti nelle «aziende» agricole puniche prima e romane dopo, e dall’altro i resistenti della montagna: una dicotomia talora inadeguata, foriera di impieghi contemporanei - al di là della volontà dell’archeologo di Barumini - di forte connotazione ideologica. Ma Lilliu non fu mai ideologico sul mondo nuragico (come oggi succede in un revival nazionalistico grottesco). Parlò degli abigeati come «residui inutili e perversi del mondo nuragico» individuando nel contempo nella conflittualità permanente e della frammentazione cantonale arcaica il limite alle speranze di realizzazione dell’autogoverno. Un vero balsamo, attento alla contemporaneità, è lo studio sui falsi bronzetti dell’Ottocento («Un giallo del secolo XIX in Sardegna. Gli idoli sardo-fenici», uscito negli «Studi Sardi» del 1975), che separa Lilliu dal nazionalismo fatto di mitizzazioni, produzione di falsi, forzature ideologiche.
Come parlare di tutti i suoi scritti? La raccolta dei volumi in suo onore presentata nel 2009 a Cagliari (edita da Carlo Delfino) è rintracciabile nella Digital Library della Regione Sardegna (cercate in http://www.sardegnadigitallibrary.it/pubblicazioni/). Tirato, soprattutto negli ultimi anni, per la giacchetta con premi vari talora oltre il limite del folklore, lui accettava di buon grado, valorizzando sempre la cortesia e cogliendo i segni dell’affetto che ovunque lo circondava.
Ma, come abbiamo detto, c’è la vita del cittadino che affascina e insegna: lui, ex-democristiano dai toni no-global, nella fiera difesa contro gli scempi paesaggistici portati dalla speculazione voleva piazzare i guerrieri nuragici a guardia delle coste, e diceva: «Mi oppongo al taylorismo e al consumismo».
Infine, e anche questo messaggio ci regala e consegna, fu un grande difensore della professione di archeologo. Il primo e così esplicitamente l’unico, a sparare «sul quartiere generale», denunciando lo scandalo dei cantieri a fondo sociale della Regione autonoma della Sardegna, nei quali molti di noi hanno iniziato a scavare e a fare censimenti, spesso diretti da non archeologi, talora geometri. A volte costretti, per camparci, a farci assumere in quei cantieri come operai specializzati, perché il Direttore «prendeva» assai meno (ovvero le lire del «gettone» riconosciuto all’archeologo di Soprintendenza che se ne doveva prendere cura).
La dignità dei giovani archeologi in Sardegna iniziò anche da lì, grazie alla sua straordinaria denuncia, maturando una (non agevole) irriducibilità crescente allo sfruttamento delle istituzioni ed alla farisaica definizione di «collaboratore esterno» della Soprintendenza.
Giovanni Lilliu ci lascia un enorme capitale scientifico: anche dove, come è naturale nella ricerca, superato (ma lui era straordinario nel riconoscere gli errori. Il primo anche in questo campo). Ci consegna un inesauribile amore per l’archeologia, per la Sardegna ed il Mediteranneo: per territorio, storia, paesaggio. Abbiamo ancora molto da leggere, e rileggere, dei suo iscritti. Ma questi insegnamenti entrano nel cuore, e ci possono formare come cittadini per costruire una società diversa.