Piero Terracina ricorda la Shoah
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«Vi devo raccontare l'inferno, perché io nell'inferno ci sono stato. Su questa terra, si chiama Auschwitz». È la testimonianza, dura e triste, di chi allo sterminio ebraico è sopravvissuto «per caso»: Piero Terracina , oggi ottantaquattrenne, strappato alla sua adolescenza nel '44. Era ospite ieri mattina al Palazzo Regio per la celebrazione de «La Shoah, la storia, il ricordo», incontro organizzato da Fidapa (Federazione italiana donne arti professioni e affari) della sezione di Cagliari e coordinato dalla giornalista Carmina Conte, col patrocinio della Provincia di Cagliari e la partecipazione del Memoriale sardo della Shoah e di alcune scuole di Cagliari: le elementari della Spano - De Amicis, le medie della Vittorio Alfieri (che hanno allestito le proprie opere d'arte nella sala), il liceo classico Dettori e l'istituto magistrale De Sanctis.
«L'ignoranza porta al pregiudizio, il pregiudizio all'intolleranza, l'intolleranza al genocidio». Le parole, lapidarie ma fin troppo chiare, sono del docente di Storia contemporanea alla facoltà di Lettere dell'Università di Cagliari, Carlo Natoli, che proprio ai ragazzi si è rivolto nel corso del suo intervento-lezione sul fascismo e la persecuzione degli ebrei in Italia. «Dovete studiare anche questa parte di storia - ha esortato Natoli - per poter ribattere a chi ancora si ostina a credere che il genocidio sia pura invenzione degli ebrei o che sia unicamente frutto della follia di Hitler. In Italia metà dei 7500 ebrei deportati venne arrestata dagli italiani, l'altra metà dalle SS su denuncia dei fascisti».
Come nel caso di Terracina, arrestato all'interno di una cantina-nascondiglio il 7 aprile 1944 all'età di 15 anni, assieme a genitori, tre fratelli, un nonno e uno zio. «Giunti al campo di sterminio il 23 maggio, capii che non avrei più rivisto la mia famiglia». Così è stato. «Quando sono arrivate le truppe sovietiche, il 27 gennaio del '45, sapevamo che saremmo stati salvi, ma nessuno di noi ha gioito: un po' perché ricordavamo i nostri cari defunti, un po' perché Auschwitz ci aveva tolto tutto, anche il pensiero». Le conclusioni, della presidente Fidapa E