La nuova realtà multietnica nell’avvincente coreografia di Mvula Sungani
ROBERTA SANNA
CAGLIARI. «Italia, la mia Africa» è un racconto autobiografico limpido e sincero, denso di suggestioni e di ricchezza coreografica in cui l’autore e regista Mvula Sungani - complice la sua eccellente compagnia e l’apporto dei due primi ballerini internazionali Emanuela Bianchini e Alessio Carbone - sintetizza la propria storia toccando i temi della diversità e dell’integrazione. Nello spettacolo che per l’ottava edizione del Circuito regionale Danza Sardegna ha attraversato con successo l’isola da Porto Torres a Carbonia (dove domenica ha concluso la tournèe dopo le tappe di San Gavino, Nuoro e Cagliari) il coreografo romano compone un affresco che prende le mosse dal Malawi, paese di origine del padre che a Roma diventa medico per poi far ritorno in Africa. E se consegna il racconto verbale al video in cui si presenta, affida alla danza, alla musica e al canto le emozioni e le evocazioni. Una sfolgorante serie di quadri coreografici, notevoli per varietà, inventiva ed esecuzione, mette in parallelo i ritmi e balli popolari - di un’Italia allora soggetto di una forte emigrazione - con quelli di un’Africa amata e sognata. Sono suoni, in gran parte proposti dal vivo dalla chitarra dell’ottimo Riccardo Medile, e passi del nostro meridione - tamurriate, tarantelle e “pizziche”, ma c’è anche «Non potho reposare». Perché, come rivela la narrazione per capitoli di Sungani, c’è l’incontro tra il padre e Vanna, ragazza di origine sarda, da cui nascono due figli che la nonna materna culla proprio con la celebre ninna nanna sarda. Due “mulatti romani”, racconta l’autore accennando alle difficoltà dell’integrazione, Elisa e Mvula, che, in scena per celebrare il suo amore per le due patrie, sfodera una bella dote canora. Raccontando l’amore, l’abbandono, la speranza, la gioia della comunità e della fratellanza, gli otto interpreti si alternano nei pezzi a due o in gruppo, nella varietà dei bei costumi di Giuseppe Tramontano, componendo strutture geometriche e realizzando figure con rimandi al mondo animale e vegetale di originale impatto estetico, anche con effetti acrobatici. Funziona la ricchezza di contaminazioni dei linguaggi, trascinano i ritmi africani e quelli delle musiche popolari nelle molte coreografie in cui domina lo stile Black (che fonde tecnica classica e quella moderna) con le influenze della Afro acrobatica e della Contact Improvvisation. Sorprendono infine le citazioni colte alla musica europea con alcuni pregevoli inserti di danza contemporanea. Meritati dunque gli entusiastici applausi dal folto pubblico delle due serate al Massimo.