Leonard Bernstein avrebbe potuto vivere di rendita con i diritti di una sola opera: la sua West Side Story, trasposizione in forma di musical della vicenda di Romeo e Giulietta, ambientata tra bande rivali americane e portoricane nel quartiere di Upper West Side a New York. Dopo la prima del 1957 lo spettacolo fu replicato 734 volte, senza contare la versione cinematografica uscita nelle sale quattro anni più tardi, che fece incetta di premi. Ma Lenny era musicista curioso, direttore d’orchestra geniale, infaticabile organizzatore e divulgatore, compositore appassionato e prolifico, i cui lavori vengono assai poco eseguiti nel Vecchio Continente. Soprattutto quelli di ispirazione sacra, come i “Chichester Psalms”, sono di rarissimo ascolto.
E per questo diventa un’occasione preziosa quella offerta da Teatro Lirico di Cagliari per l’ottavo appuntamento della stagione sinfonica. Dopo l’applaudita prima di ieri, il concerto sarà replicato stasera alle 19. Sul podio Giuseppe Grazioli che di Leonard Bernstein è stato allievo. Giovane e apprezzata bacchetta, ha studiato pianoforte a Milano con Paolo Bordoni e direzione d’orchestra con Gianluigi Gelmetti, perfezionandosi, oltre che con Bernstein, sotto la guida di Franco Ferrara, Peter Maag e Leopold Hager. Nell’esecuzione dei Chichester Psalms sarà coadiuvato dal coro del Lirico preparato da Marco Faelli e dai solisti Beatrice Murtas (soprano), Caterina D’Angelo (contralto), Moreno Patteri (tenore), Alessandro Senes (basso), Alessandra Vacca (voce bianca; ieri sera era Mauro Farci).
La difficile partitura prevede una voce bianca principale (o un controtenore, cioè un falsettista, ma mai una donna adulta, in accordo alla tradizione che vorrebbe il salmo 23 cantato da Davide fanciullo), altre quattro voci soliste, coro e un insieme strumentale formato da trombe, tromboni, archi, due arpe e un ampio spiegamento di percussioni. Composti per la cattedrale della storica cittadina inglese di Chichester, i salmi vennero tuttavia eseguiti per la prima volta in forma di concerto a New York il 15 luglio 1965 sotto la direzione dell'autore. Il testo si serve dei salmi 2, il già citato 23, 100, 108, 131 e 133, cantati in lingua ebraica, alla cui cultura Bernstein era molto legato e dalla quale avrebbe tratto ispirazione anche per altri lavori. LA TRIADE INCONSUETA L’esecuzione di queste pagine sarà preceduta dal terzo degli omaggi a Claude Debussy nel 150esimo anniversario della nascita: la Petite Suite, in origine scritta per pianoforte a quattro mani nel 1889 e orchestrata nel 1909 non dallo stesso compositore ma da Paul-Henri Büsser, musicista francese di ascendenze tedesche, allievo di César Franck, morto nel 1973 alla veneranda età di 101 anni.
Debussy e Parigi costituiscono quasi un ponte ideale verso la musica di Aron Copland, l’altra grande figura americana rievocata nel programma di questa sera. Temprato all’arte musicale proprio a Parigi nella “boulangerie ” di Nadia Boulanger, Copland rappresenta un fondamentale punto di riferimento per Bernstein e tutti i compositori americani che hanno scelto di non discostarsi del tutto dalla tradizione accademica. Incaricato da Roosevelt in pieno New Deal di ridisegnare le coordinate della musica statunitense dopo il disastro finanziario del 1929, insistendo molto sugli aspetti didattici e pedagogici, Copland nella sua attività di compositore militante e inquadrato nelle strategie di rinascita economica, culturale e politica volute dal nuovo presidente, attinse al repertorio popolare.
Queste linee guida saranno da lui seguite anche negli anni a venire. Il balletto Appalachian Spring prende forma nel 1944 su commissione di Martha Graham e di questa tendenza è quasi un paradigma, con il largo impiego di motivi tratti dalla musica folkloristica statunitense. Il Concerto per clarinetto e orchestra (che oggi avrà come solista l’ottimo Giampiero Sobrino) è invece un lavoro di brillante virtuosismo. Anch’esso proviene da una commissione illustre: quella di Benny Goodman, ovvero colui che più di altri fece da anello di congiunzione tra il jazz (almeno quello ingentilito ad uso e consumo dei ricchi bianchi newyorkesi dell’uptown) e la musica colta. Bruno Ghiglieri