Perdono più seggi i centri maggiori, norme più leggere per far sopravvivere i piccoli
FILIPPO PERETTI
CAGLIARI. Cura dimagrante per i Consigli comunali: in proporzione perderanno più peso i centri maggiori, con la fine del «privilegio» sinora riservato a quelli capoluogo di Provincia. Mentre per i più piccoli, a rischio di sopravvivenza con il Decreto Monti, ci sono norme meno restrittive. La riforma è stata approvata dalla commissione Autonomia del Consiglio regionale.
La legge sulla composizione dei Consigli comunali varata dalla commissione guidata dal sardista Paolo Maninchedda va ora all’esame del Consiglio delle autonomie (che ne discuterà la settimana prossima) e sarà poi votata dall’assemblea regionale in via definitiva.
Secondo quanto previsto dallo stesso Decreto Monti, la Regione, che in materia ha competenza primaria, ha sei mesi di tempi per adeguare la normativa in vigore ai principi generali sul risparmio nella spesa pubblica.
Questo è il prospetto previsto dalla commissione sulla composizione dei Consigli e delle Giunte comunali:
32 seggi (e non più 40) e 8 assessori per i Comuni con più di 100 mila abitanti, vale a dire Cagliari e Sassari;
24 seggi e 6 assessori per i centri con più di 25 mila abitanti (attualmente ne hanno 32);
16 seggi e 4 assessori con oltre 10 mila abitanti;
12 seggi e 3 assessori per i paesi che hanno più di 3 mila abitanti;
10 e 3 assessori per la fascia tra i mille e i 3 mila;
8 seggi e 2 assessori per i centri con meno di mille abitanti.
Il numero degli assessori, secondo quanto previsto dalla legge varata dalla commissione Sutonomia, «non deve essere superiore a un quarto del numero dei consiglieri comunali computando a tal fine anche il sindaco».
Ma al di là del «taglio» delle poltrone che assicura un risparmio di denaro pubblico (anche se i cittadini aspettano che vengano tagliati i seggi ben più costosi del Parlamento e dei Consigli regionali), la leggina Maninchedda prevede alcune importanti disposizioni nell’esercizio delle funzioni comunali e in particolare di quelle associate. Rispetto al Decreto Monti, la novità sostanziale riguarda i Comuni con meno di mille abitanti, che, nel provvedimento nazionale, sono «obbligati» ad associarsi con altri Comuni per tutte le funzioni. E’ una disposizione che, unita alla figura del sindaco-borgomastro, cioé senza Giunta, rischia di provocare la fine di queste amministrazioni locali. La commissione Autonomia ha invece esteso ai piccoli Comuni lo stesso trattamento che il Decreto Monti prevede per gli altri Comuni: è obbligatorio associare in Unioni di Comuni le funzioni «fondamentali», che sono disciplinate dalla normativa.
Per garantire ulteriore risparmio nel funzionamento degli enti locali, è infine prevista la possibilità di una convenzione con la Regione su determinati servizi, in modo da evitare doppioni e sprechi.
Questa sui Comuni è la prima riforma ad essere varata dalla commissione Autonomia dopo che maggioranza e opposizione hanno concordato un «processo virtuoso» che deve arrivare sino alla revisione dello Statuto. Lunedì prossimo, la commissione Autonomia passerà a un argomento che sul piano politico è sicuramente più ostico, quello delle Province, che il Decreto Monti ha ridimensionato. Dovranno essere decisi numero, funzioni e tipo di elezione.