La rivolta “del pane” in città nel 1906
di Giulio Zasso
Quel giorno Giovanni Casula lascia prima del solito il suo posto da operaio nel cantiere di Villanova. Deve finire di tirar su il suo primo muretto da apprendista ma i colleghi gli dicono che bisogna correre «sul nuovo bastione», perché «c'è la manifestazione». La quarta in quattro giorni. Sono i tempi durissimi della guerra del pane e Cagliari ribolle. È lunedì 14 maggio 1906. A sedici anni capisci poco di lotte sindacali, ma Giovanni il manovale è incuriosito dal fermento. Vuole capire perché la sua città è in preda a tanta agitazione. Nelle strade del centro i cortei si moltiplicano e gli organizzatori - i leader socialisti, i repubblicani - non riescono più a controllare i manifestanti. Sono migliaia, arrivano dalle campagne dell'hinterland, dalle fabbriche di Bonaria, dalla manifattura tabacchi, dai forni, dal porto, dai cantieri edili. Nel mirino ci sono il caro viveri, le giornate di lavoro lunghe 15 ore, la quarta regia , la tassa comunale che si porta via il 25 per cento dei proventi dei mercati. E poi il prezzo del pane, con i “coccoi” infilzati sulle aste delle bandiere che diventano il simbolo della protesta. L'Unione Sarda del tempo parla di migliaia e migliaia di cittadini che si affollarono nel Bastione di San Remy, a udir la parola rovente degli oratori contro il rincaro dei viveri .
Il ruggito di una città improvvisamente rabbiosa travolge tutto e tutti. In poche ore gli episodi di violenza sono incontrollabili, con l'assalto ai negozi, ai tram, alle casermette delle tasse. A metà pomeriggio la folla circonda minacciosamente l'appena nato palazzo comunale di via Roma. La situazione sfugge di mano, i militari dell'esercito regio danno l'ultimatum coi tre squilli di tromba. Il corteo deve sciogliersi. Ma non basta. Partono i primi spari, Giovanni Casula è là in mezzo, nel posto più sbagliato del mondo. Sente una fitta alla schiena, si accascia in un lago di sangue. Muore a sedici anni, sacrificio assurdo nella battaglia di Cagliari. Accanto a lui crolla senza vita un altro giovane appena più grande. È Rodolfo Cardia, 19 anni, fruttivendolo, colpito alla testa da un proiettile vagante. La tragedia ha un effetto catartico. All'improvviso torna la calma nella città incendiata dai movimenti popolari. Il sindaco Ottone Bacaredda si dimette. Arrivano cinquemila militari.