Certi episodi figli della crisi
Marcello Cocco
La tentazione è forte: si mettono insieme il pestaggio del venditore di rose in piazza Savoia, la violenza sessuale sulla giovane che rientra dalla discoteca, l'attentato a Sa Piola, la sparatoria di Pirri, l'incendio di Linea Notturna (per citare solo gli ultimi episodi eclatanti). Si shakera. E si arriva a una conclusione inquietante: Cagliari (soprattutto nella sua versione notturna) è diventata una città violenta.
Una conclusione, fortunatamente, banale e, soprattutto, sbagliata. In una “città violenta” non si incontrerebbero tante persone che passeggiano tranquillamente in (quasi) tutte le strade. In una “città violenta” i locali dovrebbero sottostare al racket che, invece, qui non c'è. In una “città violenta” le gang giovanili (padrone, per esempio, di alcuni rioni milanesi) spadroneggerebbero.
Ma Cagliari non è così. Anche se gli episodi gravi esistono e non vanno sottovalutati. Come interpretarli? Sono figli, in qualche modo, della crisi che ha colpito tutto il Paese. Come insegna l'esempio della Marina, la violenza può essere sconfitta anche grazie al controllo sociale: in passato, il quartiere era zona franca dove, di giorno e di notte, agivano indisturbati malviventi (di piccolo cabotaggio); con l'apertura di tanti locali, la zona è diventata tranquilla. Solo che la crisi ha obbligato tanta gente a rinchiudersi in casa. E, mancando il controllo sociale, aumenta il rischio di nuovi atti di violenza. La crisi ha fatto anche diminuire la presenza delle forze dell'ordine nelle strade cittadine. Con qualche auto dei carabinieri o della polizia in più in circolazione, gli sbandati (perché il “violentatore di via XX Settembre” e il “picchiatore di piazza Savoia” sono noti sbandati) forse non avrebbero colpito. E non si parlerebbe di “Cagliari città violenta”.