LA MIA CITTÀ. L'ex assessore regionale al Personale oggi guida Sardegna Ricerche
Ketty Corona: nuovo sindaco? Ancora non vedo novità
Da comune cittadina e imprenditrice di successo, ha attraversato fra il 2009 e il 2010 il palcoscenico della politica attiva, guidando uno degli assessorati strategici della giunta regionale. Ketty Corona, cagliaritana, oggi presiede Sardegna Ricerche, l'ente regionale per la ricerca e lo sviluppo tecnologico. La figlia di Armandino Corona, uno dei personaggi di maggior peso di sempre sulla scena politica ed economica regionale, confessa di aver messo da parte, temporaneamente, le sue attività private (nel campo della tecnologia e del web) per dedicarsi al nuovo incarico. Le piace questa Cagliari «così internazionale, aperta, multietnica e affascinante», mentre il traffico e i parcheggi «non sono all'altezza della fama di questa città».
La politica: che esperienza è stata?
«Interessante e formativa, avevo sempre pensato che darsi da fare nel proprio microcosmo potesse bastare, invece quella in ambito politico è un'esperienza complessa e appagante, ogni azione che si fa ha un valore, un peso e un risultato maggiore, non solo perché amplificato dai media. Oggi guido Sardegna Ricerche, occupazione differente rispetto a quella dell'assessorato, dove il tempo non bastava mai. Oggi sono sempre a contatto con la parte più innovativa delle imprese sarde. Nel campo delle energie rinnovabili, le ricerche nella genetica, nella farmaceutica, le biotecnologie».
Cosa è cambiato fra la città della sua infanzia e quella del 2012?
«Cagliari oggi è più internazionale, quand'ero bambina tutti si conoscevano, era davvero un altro mondo. I cagliaritani si stanno abituando a viaggiare - soprattutto per lavoro - e la mentalità di questa città ne trae benefici. Assisto allo sviluppo delle nostre imprese che moltiplicano le loro sedi in diverse parti del mondo, grazie ai voli low cost Cagliari ha cambiato il suo modo di approcciarsi con l'esterno».
In cosa si sta trasformando questa città?
«È più cosmopolita. Grazie alle diverse culture e alla grande tolleranza, è più sensibile. Assomiglia poco a una città del sud. Sappiamo sfruttare le occasioni, ci stiamo dando da fare».
I turisti: questa città sa accogliere?
«Sì, e non solo i turisti. Vivo in via San Giovanni, cuore di Villanova pieno di immigrati. Sono nate molte sinergie, con diversi negozi gestiti da pachistani e indiani i quali hanno stabilito un bel feeling con i vecchi proprietari e i residenti».
Da Floris a Zedda: ci sono segni di novità o un sindaco ha bisogno di due mandati per lasciare il segno?
«È presto, non mi sono accorta ancora di cambiamenti. Spero che non ci vogliano due mandati, non abbiamo tutto questo tempo».
La città ha deciso di cambiare guida politica, perché?
«Sono stati i candidati che hanno determinato questo, le liste hanno detto altro. Il voto è stato determinato dai candidati sindaco, poco politico e molto personale»:
Cosa non funziona fra centro e periferia?
«Traffico e parcheggi non sono all'altezza del resto della città. Si potrebbe fare molto di più per il centro storico, perché non sia solo sempre e solo una scommessa dell'amministrazione comunale. Non basta decidere di pedonalizzare certe strade per difendere e valorizzare il centro».
Come la multietnicità può diventare un valore aggiunto?
«L'integrazione così sviluppata come in questa città è segno di una civiltà matura. Nelle loro piccole botteghe, molti immigrati si danno da fare con la piccola imprenditoria, sanno organizzarsi, seguono le regole, le leggi, i negozi sono puliti, a norma. Una comunità straniera si ricava uno spazio in una città come questa solo facendosi rispettare e rispettando i nostri tempi, lo spazio c'è. E questa multietnicità può diventare un'attrazione se diventa una caratteristica di tutto il centro storico».
L'uomo o la donna dell'anno, magari con la sua motivazione.
«Mi piacerebbe che potesse essere una donna, ma sono relegate ai margini. Come nel governo Monti. Mi piacerebbe citare una donna, ce ne sono ma non occupano posti di potere. Le scelte sono sempre una prerogativa maschile».
Enrico Pilia