Scelte aree militari ad Alghero, Cagliari, Carloforte e Oristano
MAURO LISSIA
CAGLIARI. La guardia di finanza conferma: i quattro radar antisbarco non saranno installati nei siti costieri contestati dagli ecologisti e dalla popolazione ma andranno nelle aree militari di Capo Sant’Elia a Cagliari, Capo Sandalo a Carloforte, Capo San Marco a Oristano e Capo Caccia ad Alghero. Verrà ripensata in buona parte anche la distribuzione degli undici impianti minori, quelli destinati al controllo di corto raggio affidata alla guardia costiera. Due le opzioni all’esame del comando generale delle fiamme Gialle: se i radar saranno classificati come opere civili diventeranno indispensabili le autorizzazioni ambientali e paesaggistiche della Regione e il permesso urbanistico del Comune territoriale. L’altra possibilità è che gli impianti siano considerati opere militari, una soluzione che aprirebbe la strada a una procedura accelerata e consentirebbe alla Finanza di saltare l’autorizzazione urbanistica dei Comuni. L’orientamento, a questo punto obbligato, è comunque di passare per quattro conferenze di servizi - una per ogni sito principale - cui dovranno partecipare gli enti locali coinvolti, compresa la Regione. Come dire che la procedura dovrà essere ripetuta integralmente, con tempi tecnici oggi imprevedibili. Nessun problema per i finanziamenti: quelli perduti sull’anno in corso saranno recuperati al prossimo. In ogni caso i 17 radar di profondità di costruzione israeliana, da sistemare in tutta Italia, sono stati acquistati e si trovano nel deposito della società Almaviva di Roma, che ha vinto l’appalto. Prima o poi si troverà il modo di piazzarli anche in Sardegna, mentre gli otto che restano ancora da installare andranno in Puglia (3), Sicilia (2), Marche (2), Veneto e Abruzzo nei siti alternativi individuati per superare le «criticità» cui fa riferimento la nota del comando Generale della Finanza datata primo luglio 2011.
È in questa relazione indirizzata anche al ministero dell’Interno che il capo di stato maggiore Michele Adinolfi spiega le ragioni del cambio di rotta, elenca i siti alternativi - compresi i quattro sardi - e conferma che delle 17 postazioni programmate «sette sono state già collocate a Lampedusa, Bovo Marina, Portulisse, Punta Stilo, Isola Capo Rizzuto, Arma di Taggia e Brancaleone» mentre «quattro devono essere installate in siti da individuare in Veneto, Marche, Abruzzo e nord della Puglia». Infine «sei dovranno essere installate in Sardegna, Sicilia, sud della Puglia e Sicilia» ma «in siti diversi da quelli precedentemente individuati per problematiche insorte in sede locale». Questa comunicazione conferma che la scelta di abbandonare Argentiera, Capo Sperone, Capo Pecora e Ischia Ruggia non è legata ai pronunciamenti cautelari del Tar Sardegna - contrari alla presenza dei radar in zone pregiate e popolate - ma è stata fatta in seguito alle proteste delle associazioni ecologiste, degli indipendentisti e dei comitati no-radar.
Positive, com’era prevedibile, le reazioni fra le associazioni: «Per noi e per i no-radar si tratta di una grande vittoria - è il commento del segretario regionale di Italia Nostra, Giorgio Bullegas - anche se resta la preoccupazione per la scelta di collocare gli impianti nelle aree militari. Sono comunque zone a rischio, per esempio Capo Sant’Elia è praticamente a Cagliari. E non va sottovalutato il pericolo che le onde magnetiche emesse da impianti vicini finiscano per sommare il proprio effetto moltiplicando le conseguenze per la salute della popolazione. Per questo continueremo a opporci». Soddisfazione viene espressa da Stefano Deliperi per il Gruppo di intervento giuridico e gli Amici della Terra, che ricordano come i cittadini non abbiano ricevuto alcuna informazione «sugli eventuali rischi ambientali e sanitari» legati al sistema di radar della guardia di finanza e della guardia costiera.