Il documento realizzato dai tecnici di Area: «La microcriminalità si ritaglia spazi di azione e di rifugio negli edifici e li sottrae agli abitanti, costruendosi efficaci sistemi di fuga». I residenti si difendono tirando su muri e barriere metalliche
Negli scantinati dei palazzoni di Sant’Elia va avanti da anni una guerra silenziosa. Concepiti dagli progettisti degli anni ‘80 per favorire la socializzazione dei residenti, gli spazi pubblici dei palazzoni (cortili, cantine, ecc.) si sono trasformati nel nascondiglio del narcotraffico che riesce a proteggere le attività illecite, grazie ad un articolato sistema di vie di fuga, realizzato negli anni. A poco è valso il tentativo dei residenti di difendersi, attraverso la costruzione, a volte arbitrariamente, a volta con l’autorizzazione temporanea del Comune, di muri e barriere metalliche. Una pressione continua quella della malavita di Sant’Elia (coinvolte quasi tremila persone su 12 mila, secondo le forze dell’ordine) favorita anche dall’isolamento urbanistico che il quartiere patisce, stretto tra il mare, le servitù militari e le due arterie a scorrimento veloce, viale Ferrara e asse mediano. È tutto scritto nella relazione di Area (l’agenzia regionale per l’edilizia abitativa), presentata al consiglio comunale, nel corso diunintervento appassionato, dal consigliere di Sel Marisa Depau. La relazione (base del nuovo intervento da 37 milioni di euro che Area si appresta a realizzare nel quartiere) mette in evidenza comela mancanza di servizi e la separazione fisica della cittàhanno caratterizzato il primo periodo di vita del quartiere, rendendo particolarmente difficile l’integrazione dei nuovi abitanti. E poi la denuncia: «Il problema più pressante ancor più della mancanza dei servizi », scrivono i tecnici di Area, «è diventato il rispetto dell’ordine pubblico: la microcriminalità utilizza la totale permeabilità degli edifici e delle aree esterne ai fabbricati, ritagliandosi spazi di azione e di rifugio, sottratti agli abitanti, e costruendosi efficaci sistemi di fuga. Le parti di uso pubblico dei fabbricati», aggiunge, «o aperte su spazi pubblici, pilotis e piani piastra, sono state sottoposte nell’arco di poco più di un decennio ad un’opera sistematica di distruzione, estesa in diversi casi alle parti condominiali degli ingressi agli alloggi, che non si arresta di fronte ad alcun tentativo di difesa». La descrizione dello stato dei palazzi, risultato di anni di guerra, è agghiacciante: cantine sventrate, portoncini abbattuti, vetri antisfondamento spaccati, ascensori fuori uso, macerie e immondizie, accumulate negli spazi di passaggio, impianti di illuminazione devastati, carcasse di automezzi e ciclomotori abbandonati, episodi «che marchiano la storia di questo quartiere e che ancora si susseguono a ritmo continuo, superando la capacità di reazione e di resistenza degli abitanti, i quali tentano di difendersi con l’erezione di barriere murarie e metalliche, quasi mai soddisfa- centi». La guerra ha dunque stravolto l’aspetto dei palazzi scombinando i piani dei progettisti. Perché, scrive ancora Area, la realizzazione di queste barriere a livello di piani pilotis e piani piastra, spesso autorizzate in via temporanea dall’amministrazione comunale per motivi di ordine pubblico, ha portato allo stravolgimento di tutte le previsioni urbanistico-edilizie: tutti gli spazi a fruizione collettiva sono stati “privatizzati” e trasformati in luoghi segregati e abbandonati, aggiungendo degrado a degrado. «I pochi soldi rimasti in cassa saranno utilizzati per un intervento minimo che servirà a poco », ha dichiarato in aula la Depau, «mentre servono interventi strutturali: il workshop del 2008aveva evidenziato che dalla vendita dei palazzi del Favero riqualificati, sarebbe stato possibile ricavare 19 milioni di euro e insediare nel rione 200 famiglie di