Molti applausi ieri al Lirico di Cagliari per la prima dell'opera
Direzione, regia, scene, coreografie al femminile
Luci taglienti che esaltano le ombre, proiettandole sul muro bianco che domina la scena: contrasti forti ed essenziali di linee e colori, come forte ed essenziale è questa “Carmen” che ci fa sentire lo scorrere dell'acqua e il sibilo del vento e già dal sipario dominato da due occhi di donna ci racconta una storia diversa. È un allestimento forzatamente povero, ma intenso quello andato in scena ieri sera al Lirico di Cagliari. Con una scenografia geometrica, che esalta le emozioni dei protagonisti concedendo spazio alla ricchezza dei costumi, e una regia che introduce elementi del tutto inediti. Come quella bambina e quel vecchio che aprono e chiudono ogni atto. La prima (si chiama Livia) rappresenta la femminilità che può ancora concedersi ogni libertà, il secondo la vecchiaia che non può più coltivare passioni. Metafore di una storia estrema, giocata sui contrasti: bene e male, ragione e sentimento.
È una “Carmen” costata nell'allestimento meno di ventimila euro, quella proposta in chiusura di stagione, ma non per questo meno bella. Dove il carattere da femme fatale, da demonio, della sigaraia di Siviglia (sottolineato nella sua presentazione da Franco Masala) assume particolare rilevanza, e dove l'anima tormentata di don José viene esaltata. Nella scena finale - lei attende la morte per mano di lui, che compie il destino di entrambi uccidendola - non c'è differenza tra i due protagonisti. Carmen e don José, caratteri primari entrambi, sono anime perse. E Escamillo è soltanto lo strumento della loro perdizione. Resta incrollabile Micaela, a rappresentare l'altra faccia della luna: il bene, la ragione, il dovere.
Esordisce felicemente come scenografa Sabrina Cuccu, direttore degli allestimenti scenici del Lirico, e conferma la sua bravura Beniamino Fadda, capo reparto sartoria del teatro, che ha creato (utilizzando il materiale a disposizione dei magazzini) costumi ricchi e pieni di colore. Il disegno luci è di Giuseppe Di Iorio, mentre i movimenti coreografici sono di Tiziana Colombo, apprezzata ballerina scaligera. Sul podio - per quest'opera al femminile che colora i fucili di bianco, rosa, verde e celeste - un'altra donna, l'inglese Julia Jones, a guidare orchestra e coro del Lirico. Maestri del coro Fulvio Fogliazza ed Enrico di Maira (per le voci bianche).
Seguita passo passo dalle telecamere di “Prima della Prima”, che a gennaio le dedicherà una puntata, l'opera è stata molto applaudita. Su tutti i protagonisti (ma di questo parlerà la critica musicale domani): Hadar Halèvy, Carmen, Andrea Carè, Don José, Pierre Doyen, Escamillo, Cristina Radu, Micaela. Particolarmente apprezzata dal pubblico la scena finale, con quel gigantesco drappo rosso sangue che incombe sul bianco: e quella “Carmen” dallo stropicciato abito color bronzo che appare come un'inquietante sposa di morte, il capo coperto da un velo rosso. Certo, ha deluso chi si aspettava spettacolari arene e rutilanti ventagli, ma ha reso alla perfezione il coinvolgimento di tutti nel dramma, con quelle due pareti incombenti sulla platea, quell'idea registica di proiettare su un velo cipolla i passi in bianco e nero della folla della corrida, e quelle giacche da torero ingessate e appese ai ganci come quarti di bue. Una citazione del fotografo colombiano Ruven Afanador, suggerita da Fadda a Cuccu. Come una citazione dell'artista tedesco Anselm Kiefer (molto amato da Bianchi-Cuccu) è il grumo di ferraglie ossidate che domina il terzo atto, quello dei contrabbandieri, contrapponendosi all'inno vitale alla libertà. Da quel grumo di morte, dagli altri invisibili che affollano la storia, solo Micaela riesce a uscire, col suo abito color indaco che indica la purezza e ricorda (nella scelta di Mino Fadda) il costume sardo della sua terra, Busachi. Gli altri protagonisti sono tutti preda della passione. Si salva la bambina, che ancora la ignora, è cieco il vecchio, che non può più tormentarsi nel provarla. Ci consoliamo noi, nel considerare che in un'epoca così buia per i teatri il lavoro di squadra esalta la qualità, mette in luce le eccellenze locali, e trasforma la crisi in una risorsa.
Maria Paola Masala