Doppio premio alla carriera all'Odissea di Cagliari. Capolicchio tra gli ospiti
Il regista: «E adesso ci diamo alla fiction televisiva»
«Con mio grande rammarico mio fratello Antonio non è mai stato apprezzato come produttore quanto meritava, puntualmente dimenticato nei premi importanti come i David di Donatello», racconta al pubblico di Cagliari il regista Pupi Avati. Suo fratello, seduto accanto, lo lascia finire per esplodere nello slogan “Vota Antonio vota Antonio!”, conquistando la sala dello Spazio Odissea. Eccolo, sodalizio artistico e lessico familiare di un rapporto affettivo fortissimo, screzi inclusi («Il primo che telefona sono io», puntualizza Antonio) del lavorare assieme da tanto producendo molto cinema (oltre quaranta pellicole) senza che mai subentrasse la competitività. A loro è arrivato, in Sardegna, un riconoscimento alla carriera conferito dall'associazione culturale L'Alambicco.
I premi sono stati consegnati ieri dal primo cittadino di Cagliari, Massimo Zedda, e dall'assessore alla Cultura del Comune di Elmas, Sandro Cancedda, al termine di un rigoroso convegno di studi con esperti del ramo (Steve Della Casa, Roberto Nepoti, Giovanni Spagnoletti ed Elisabetta Randaccio coordinati da Chiara Gelato). E il giorno prima i fratelli sono stati ospiti di un concerto-omaggio al Comunale di Elmas dove il musicista Riccardo Pittau ha messo insieme un'azzeccata band (la “Riccardo Pittau and Cupfakes”, presentata da Paolo Zucca) per un tributo al regista dalle aspirazioni jazziste.
La musica è sempre stata una costante della sua cinematografia e quell'amore dichiarato in “Jazz band” l'aveva consacrato al grande pubblico. A ricordarne l'esaltante lavorazione, a Cagliari è giunto anche Nino Capolicchio, attore avatiano per eccellenza e compagno di viaggio da “La casa con le finestre che ridono”: «Era trascinante, come fosse l'avventura della tua vita», ricorda: «Ti ritrovavi talmente coinvolto che non vedevi l'ora di alzarti per andare sul set: eravamo degli invasati e lo siamo stati per mesi e mesi. Una droga, in pratica». Memorie di un incontro riuscito tra timidi, a cui non si può dire mai di no: «Pupi ha la capacità di metterti a tuo agio, cosa fondamentale per un attore. E sin dal suo primo film aveva un'autorevolezza e una capacità di protezione che non è da tutti».
Oggi i fratelli Avati si trovano nella Capitale, chiusi a Cinecittà per dare il via alla fiction televisiva “Un matrimonio”, sceneggiata da Pupi Avati, dal figlio Tommaso e da Claudio Piersanti. «Cerchiamo di affacciarci al pubblico della tv e ci aspettiamo molto: credo che faremo una cosa che meraviglierà la stampa», assicura il produttore. «Il rinnovamento del pubblico al cinema non è stato sufficiente nella quantità e si può guardare alla televisione anche come a uno strumento per raggiungere quella gente che non entra più in sala», aggiunge il cineasta, di recente tornato al grande schermo con “Il cuore grande delle ragazze”.
L'avventura continua, preservando uno sguardo legato all'ingenuità e al candore dell'adolescenza. «Un uomo anziano è portatore in sé di tutte le età. A 73 anni non ho smesso di essere un bambino perché così rimangono dentro tutte le opportunità. E io continuo a raccontare di protagonisti che sono figure minuscole ma tutte portatrici di grandissimo sogni. Che poi si realizzano o no, è irrilevante».
Manuela Vacca