Rassegna Stampa

Sardegna 24

Un tuffo dal ponte nella storia

Fonte: Sardegna 24
2 dicembre 2011

Amarcord delle vicende della Scaffa: simbolo della città di Cagliari e metafora di sogni Il racconto di quegli antichi legni nei testi di Alziator, Galliazzo, Sirchia

di ENRICO PINNA

Il ponte, per essere compreso nella sua intima realtà, deve essere analizzato nella sua globalità... sia come macchina edilizia sia come luogo privilegiato dell’abitare, sia come simbolo del vivere e del pensare». Lo scrive Vittorio Galliazzo, autorevole docente di archeologia, nel suo “I ponti Romani” del 1996. Seguendo questa visione olistica Achille Sirchia, compianto studioso delle vicende industriali della città, ha narrato, nel libro “I ponti raccontano” (edito da Della Torre), un pezzo di storia di Cagliari attraverso le vicende dei ponti della Scaffa, simbolo della città e metafora di sogni e disillusioni. Dopo secoli di precari ponti di legno quell’ardito ponte in ferro, disegnato dall’ingegner Cottrau, osannato dalla stampa tecnica nazionale, incarnava alla perfezione il desiderio di modernità dei cagliaritani. D’estate, era attraversato dalle carrozze che trasportavano le signore della belle èpoque verso gli stabilimenti balneari di Giorgino, evocando un’aria à la page, quasi da Costa Azzurra. Infatti in questo lembo sospeso tra terra e laguna, imprenditori coraggiosi come Carboni, Devoto e Soro riuscirono, nella seconda metà dell’800, a stanare i cagliaritani dai salotti di Castello per appassionarli ai nuovi riti del divertimento estivo. Erano anni di grandi speranze che fecero immaginare a Efisio Baccaredda, padre di Ottone, nel suo libro “Cagliari ai miei tempi” del 1884 di «arginare lo stagno ... per dar luogo ad una passeggiata che non avrebbe avuto nulla da invidiare alla romantica passeggiata di Nizza Marittima detta Promenade des Anglais». Ma la mattina del 17 novembre 1898, dopo una notte di tempesta, «i cagliaritani— scrive Sirchia — si svegliarono sbigottiti di non trovare più il loro bel ponte della Scaffa. Il pellegrinaggio sul teatro del disastro fu continuo e incessante». Così tornò il precario ponte di tavole, frettolosamente arrangiato dall’amministrazione comunale, che fu anche tentata di ripristinare i balzelli di transito da poco aboliti: quattro soldi per un carro a due buoi carico, due soldi se vuoto. Quattro denari per ogni pedone e due per ogni animale (vivo) al seguito. Sulla ricostruzione si aprì un acceso dibattito tra i fautori del legno e quelli del ferro. I primi furono a lungo bersaglio dei giornali satirici, fra cui il “Bertoldo” che concluse con ferocia un lungo editoriale: «...solo il legname è forte, tant’è che la Provincia è piena di cozzina!» In attesa che la disputa avesse fine e la citata Provincia trovasse i denari necessari anche sant’Efisio fu costretto a modificare il suo secolare percorso. Finalmente, grazie al finanziamento dello stato, la Scaffa ebbe, nel 1903, un nuovo ponte, non bello come il precedente ma, vivaddio, di ferro. Neanche a dirlo il primo ad attraversarlo fu sant’Efisio. Passarono vent’anni e alla Scaffa i ponti divennero due. Il secondo fu costruito dalla società Conti-Vecchi che, a seguito dei lavori per la costruzione della salina, aveva aperto un altro braccio a mare. Stavolta un bel ponte in cemento armato collegava le due sponde e, naturalmente, fu il solito sant’Efisio a varcarlo per primo. Sirchia racconta che «...su una parete del ponte era stata annotata la data di costruzione e la scritta: cemento della fabbrica di Cagliari». Infatti, svanito il sogno mondano e trasferita la città balneare al Poetto, la zona divenne area di numerose iniziative imprenditoriali. Officine del gas, segherie, cantieri navali e un piccolo villaggio dei pescatori costruito negli anni Venti davano impulso ad un progetto di insediamenti che prevedeva anche un porto industriale nella laguna. Per questo, nel 1938, fu costruito un terzo ponte, snello ed elegante, molto più alto degli altri due, per permettere il passaggio di navi da carico. I soldi —precisa Sirchia—erano quelli della legge del miliardo voluta da Mussolini. E infatti l’inaugurazione non toccò al solito sant’Efisio ma ad un gruppo festante di gerarchi fascisti. La guerra ha interrotto il sogno industriale e un difficile dopoguerra ha trasformato i dintorni in una informe e degradata periferia urbana. La sintesi di Francesco Alziator in un articolo del 1958 è amara: «La lunga borgata tra la Scaffa e la Plaja non è solo la bellezza di un tramonto. è, forse, la zona più triste e desolata della città». Negli anni ‘70 viene riproposto, in modo sciagurato, il progetto industriale con un gigantesco porto canale, che doveva servire gli insediamenti industriali di Macchiareddu. Già allora in odore di crisi.

Un progresso sempre interrotto Due ponti sono stati demoliti e sostituiti dall’attuale anonimo viadotto a quattro corsie. L’ultimo, quello del ’38, è stato risparmiato e dà accesso ad una zona di degrado e di abbandono in cui si fronteggiano la secolare esattoria spagnola della “quarta Regia” e un ponte che collega il nulla, simbolo di un progresso sempre interrotto, di una Sardegna sospesa tra passato e speranze di una rinascita mai compiutamente avvenuta e comunque sempre pagata a caro prezzo.

Lucchese: «E così si dotava Karalis di un’opera di valore» Il citato volume di Achille Sirchia e Stefano Lucchese ripercorre attraverso la storia del ponte della Scaffa le varie vicende che hanno segnato l'evoluzione della città di Cagliari da residenza viceregia a città borghese e, strada facendo, a città di traffici portuali e di industrie, che avrebbero trovato il loro habitat naturale nella grande laguna d'Occidente, quella dove, scriveva Alziator, «s'andava a coricare il più bel sole dell'Isola». «Il ponte - scrivono Sirchia e Lucchese - non risolveva unicamente un problema plurisecolare, dotava Cagliari di un'opera di valore, degna di ammirazione generale, osannata dalla stampa tecnica nazionale. Per la borghesia commerciale e liberale, che andava sostituendosi alle grandi famiglie dell'ex nobiltà feudale, significava uscire dalla banalità, perseguire il tentativo di dare alla città un interessante, moderno volto urbanistico ed architettonico. Così come si stava delineando con la "palazzata" della via Roma (a seguito dell'abbattimento delle vecchie mura di via San Francesco del Molo che separavano la città dal mare e dal porto) e con il concorso di idee indetto nel 1896 sul piano nazionale per la realizzazione del nuovo palazzo civico ».Edanche le altre città regie figuravano in qualchemodo nel ponte: «All'esterno delle sei pareti - continuano gli autori - erano stati attaccati gli stemmi di quasi tutte le città riconosciute "regie" in epoca spagnola: Cagliari, Sassari, Bosa,Iglesias, Oristano. Erano state omesse Alghero e Castelsardo, mentre vi figurava Lanusei (per l'esattezza, nella relazione tecnica, Cottrau ha indicato la cittadina con il nome del suo territorio: "Ogliastra"). L'aver decorato in tal modo il ponte costituiva un omaggio al resto della Sardegna, se non una velata dimostrazione dell'essere sempre la "Calaris Sardiniae Caput"...».