Al Massimo l’Orchestra di piazza Vittorio conquista il pubblico con un allestimento teatralmente avvincente
WALTER PORCEDDA
Mozartiano nell’anima teatrale, tutta ironia e gioia di vivere e nello spirito musicale, scoppiettante di ritmo e immerso in un elettrizzante meltin pot, com’è giusto che sia e deve essere un rifacimento del «Flauto magico» dei nostri giorni, se a firmarlo dal vivo - martedì alla prima trionfante e plaudente di un pubblico traboccante e festoso al Massimo per inaugurare la stagione Cedac, in collaborazione con Sardegna Concerti - è l’Orchestra di piazza Vittorio che della multiculturalità è un manifesto vivente. Con la capacità di incantare grazie al favolistico procedere dell’orchestrazione (di Mario Tronco e Leandro Piccioni). Che è fatta di incastri profumati d’Oriente, Africa e di Settecento, e come nell’opera di Wolfang Amedeus, parla con il linguaggio degli strumenti.
Suoni come visioni, musica come racconto che all’interno ne possiede infiniti. Tante quante sono le stelle che negli schermi sospesi sulla scena disegnano cieli esotici e lontani nel tempo e nello spazio. Nei non luoghi della fantasia. Criptici eppure infantili. Quadri di uno spettacolo che mette davanti, ingombrante e colorato, un ensemble di venti fantastici musicisti, un po’ attori e un po’ spettatori della vicenda di Tamino e Pamina (la dolce Silvie Lewis dalla voce british folk) Papageno e la conturbante Regina della Notte (la potente e affascinante soprano coreana Kim Jihye), il mago Sarastro e il suo servo Monostatos. Trama evocata e detta da un esilarante narratore (Omar Lopez Valle), in realtà finita dentro un frullatore che traduce il libretto del singspiel originale in due atti scritto da Emanuel Schinkaneder in un ardito fumetto che scorre in tempo reale come una bande dessineè, complice anche la premiata ditta delle luci di Pasquale Mari e dei disegni di Lino Fiorito che fanno da contrappunto narrativo perfetto. Una lanterna magica sospesa, schermo da cinema muto con gli spazi stravolti e fuori dagli schemi. Qual’è d’altronde questo «Flauto» che appare rovesciato, come a Carnevale, e mostra a nudo il suo cuore di palpitante attualità. E il cuore è la musica degli strumenti etnici, dal flauto andino alla kora senegalese, l’oud arabo o il cavaquinho e le tablas. Musiche del mondo che incontrano un ensemble di archi e pianoforte con una sezione di fiati poderosa che a momenti sembra evocare i suoni di una marchin band su partiture evansiane. Una riscrittura ardita che, partendo da Mozart (restano intatte le magnifiche arie «Zum Leiden bin ich auserkoren» e «Der Holle Rache kocht in meinem Herzen») inventa un inedito contenitore di pop, rock e jazz, un campionario enciclopedico e vorticoso del nostro tempo. Tableaux contemporaneo di musiche e suoni, dai Beatles all’operetta. Un’opera fantastica e un film di note dentro il quale è bello perdersi e naufragare. Si replica sino a sabato alle 20,45 e domenica alle 19.