A Bonaria i funerali del terzino dello scudetto, un pezzo di storia rossoblù che se ne va: Gigi Riva e compagni in prima fila
di SERGIO DEMURU sardegna@sardegna24.net CAGLIARI.
Se ne va un altro pezzo di storia rossoblù. Di quella squadra che aveva avuto il potere di rivalutare l'immagine della Sardegna. A livello nazionale ed anche al di fuori dei confini. Lo scudetto come riscatto sociale. Edundici giocatori in calzoncini e maglietta, capaci di oscurare miti generazionali in ambiti diversi. Il tutto in uno scenario intrigante,come il glorioso stadio Amsicora, che trasudava entusiasmo e partecipazione collettiva dai "decibel" incontrollabili. La scomparsa di Mario Martiradonna lascia un vuoto. Incolmabile. Con tutti gli ex compagni di allora presenti nell'angusta Basilica di Bonaria. Con in testa Gigi Riva, amico a prescindere, accompagnato da Giuseppe Tomasini, Ricciotti Greatti, Adriano Reginato, Mario Brugnera, Cesare Poli, Adriano Reginato e così via. Innamorato del calcio, Mario Martiradonna ha voluto calcare i campi sino alla fine. Negli ultimi anni era sempre presente, tutti i sabati pomeriggio, dalle 15 alle 16, a dar consigli ad una formazione di attempati ragazzi, che si esibivano in combattute partite di "calcio a sette", dietro la Basilica di Bonaria, guarda caso dove ha ricevuto l'ultimo saluto. C'erano anche loro al funerale, a rendergli omaggio. Quegli anonimi giocatori che si fermavano a litigare ad ogni fine sfida, giocata ai limiti delle loro possibilità. A fianco dei "grandi" e "titolati" ex.Enonè mancato il presidente attuale, Massimo Cellino, a rappresentare la continuità. Chi, fra i vecchi compagni, non ha potuto raggiungere Cagliari in tempo utile, si è fatto sentire con scritti e pensieri. Tutti convergenti verso di lui. Forse l'unico che, ai Mondiali del 1970, avrebbe potuto limitare Pelè e far trionfare la Nazionale azzurra. Ma Ferruccio Valcareggi lo lasciò a casa, nonostante le pressioni di tutti e di Enrico Albertosi in particolare. Ora Mario riposa, assieme a coloro che non ci son più di quella straordinaria avventura. Il pensiero corre anche ad Andrea Arrica e Manlio Scopigno. E fu proprio quest'ultimo, il tecnico che guidò il Cagliari a quella storica impresa, che lo apostrofava in maniera bonaria: «Ti chiami Martiradonna. Non ci arriverai mai in Nazionale. Dovresti andare all'ufficio anagrafe e farti cambiare il cognome» gli ripeteva, quasi fosse una cantilena. Battute, quelle dell’allenatore filosofo, che sono diventate leggenda. Ma lui non se ne curava più di tanto. Era sempre concentrato sul suo Cagliari e sulla città che lo aveva adottato. Chissà, forse gli ricordava l'infanzia e la giovinezza pugliese. A contatto con il mare. La vita gli ha dato tanto nel periodo fulgido della notorietà, ma ha poi richiesto qualcosa indietro, completata di interessi, nel prosieguo dell'esistenza. Mario non è stato fortunato così come quando giocava. Ma la dignità era una dote che non gli ha mai fatto difetto. Ed è sempre stata una delle sue prerogative prioritarie.Unattaccamento che prescindeva dal solo momento sportivo. Difatti, due mesi fa, allorquando la situazione stava precipitando, la moglie di Mario chiamò, per primo, proprio Gigi Riva. Per informarlo e renderlo partecipe delle condizioni del marito. Episodio sintomatico del cordone ombelicale che legava e lega tutti i componenti di quel "Dream Team".