STADIO, CARO ZEDDA ADESSO TOCCA A TE
di Giuseppe Farris
L’annosa questione dello stadio Sant’Elia pare sia giunta al capolinea. La Gazzetta Ufficiale dello scorso 9 novembre ha pubblicato il nuovo Regolamento dell’Enac con l’ad ozione del vincolo che vieta qualsivoglia costruzione nel perimetro di un chilometro dall’aeroporto di Elmas. Per l’effetto, il tema relativo al futuro dello stadio rimane al centro dell’agenda politica del Comune di Cagliari. Il relativo dibattito troppo spesso è scivolato su toni accesi omettendo di valutare alcuni punti che, invece, dovrebbero rimanere fermi. In breve. Il problema degli stadi si ritaglia uno spazio di singolarità nel tradizionale rapporto intercorrente fra le Amministrazioni Comunali e le opere pubbliche: infatti, la proprietà degli stadi, solitamente, è pubblica (comunale) ma l’attività che vi si svolge non è di competenza pubblica, essendo preordinata esclusivamente a una finalità privatistica, essenzialmente costituita da competizioni calcistiche di tipo professionale. Da qui deriva la prima conseguenza: se non esiste il soggetto sportivo lo stadio resta privo di una possibilità concreta di utilizzo. In altre parole, per dare un senso a uno stadio occorre che esista una squadra professionistica che vi gioca con regolarità. Tuttavia, benché l’attività che si svolge in uno stadio non sia di competenza pubblica nessuno può dubitare che sia di in- Non ci sono alternative alla cessione del diritto di superficie. Con obbligo di assicurare la fruizione al Cagliari teresse generale: per vero, soprattutto intorno alla serie A e alla serie B vi è un diffuso coinvolgimento e per le squadre che possono vantare una partecipazione in uno di questi campionati si sviluppa una fortissima identità con la propria città. Del resto non si può menzionare una squadra di calcio che tradizionalmente milita in serie A senza con ciò, contestualmente, evocare la città che rappresenta. L’ulteriore constatazione è rappresentata dal fatto che nel 1970, quando è stato costruito il Sant’Elia, non c’era dubbio alcuno che il compito di realizzare e mantenere gli stadi spettasse ai Comuni. Era quella un’epoca in cui dallo Stato centrale venivano erogati ingenti trasferimenti per finanziare le opere pubbliche mentre intorno al calcio non si era ancora sviluppato il business cui si assiste oggi. A distanza di 40 anni il quadro è diametralmente capovolto. Le casse dei Comuni sono vuote mentre quelle delle principali società calcistiche fanno registrare fatturati in costante crescita: i diritti televisivi negoziati a peso d’oro, il merchandising, la quotazione in borsa rappresentano altrettante fonti di finanziamento inimmaginabili fino a poco tempo fa. Dunque è all’interno di questa cornice che dovranno maturare le relative decisioni. La condizione di degrado funzionale in cui versa lo stadio impone una scelta. Noi crediamo che non vi siano alternative alla cessione del diritto di superficie, a seguito di una procedura di evidenza pubblica con obbligo di assicurare la fruizione del bene alla società Cagliari Calcio. Non vi sarebbe alcun depauperamento del patrimonio pubblico e allo scadere del termine il Comune diventerebbe proprietario anche dello stadio. Quanto al sindaco Zedda e alla maggioranza che lo sostiene, ancora non è dato comprendere quali determinazioni intendano assumere. Eppure ora tocca a loro. P.S.: la parola stadio deriva dal greco stadion che indica un posto sicuro in cui le persone si possono fermare e sedere. Ecco, il nuovo stadio dovrà garantire comodità, partecipazione e sicurezza. Capogruppo Pdl in Consiglio comunale