Rombo di Tuono: «Ho sempre avuto bisogno di sentire vicino questo gruppo»
Tutti insieme per il loro compagno di momenti incancellabili
C'era anche chi non c'era perché Dio solo sa quanto quei ragazzi si vogliono bene. Condividevano la stessa foresteria: ognuno aveva la propria stanza ma il bagno era in comune. Pranzavano e cenavano nello stesso ristorante, il Corallo nel quartiere Marina prima, lo Scoglio a Sant'Elia poi. Condividevano le stesse gioie e le stesse emozioni: il problema di uno era il problema di tutti. Più che fratelli, più che amici. Sono loro, i campioni di quel trionfo che non finisce mai perché la storia va avanti - ben oltre il confine di un addio - per un gruppo di ex ragazzotti di vent'anni che ieri facevano quasi tenerezza, lì in prima fila davanti a Mario. Disse una volta uno di loro, forse era Albertosi: ho giocato e vinto con altre squadre ma ora faccio fatica a ricordare i nomi di quei miei compagni. Con il Cagliari no, è diverso: me li ricordo tutti, ricordo anche le loro date di nascita. Ci sono - questa l'ha detta Gigi Riva - parenti che non vedi da anni, non sai più neanche se sono vivi o morti: con quel gruppo hai invece il bisogno fisico di sentirli, di vederli. Quasi di toccarli. Perché sono una parte di te stesso. È l'altra faccia dello scudetto, è la storia d'altri tempi di giocatori che hanno vinto perché stavano bene assieme, non solo perché erano bravi, mamma mia quanto erano bravi. Si sono protetti l'uno con l'altro, si sono aiutati, si sono soprattutto divertiti a rivivere una dieci cento volte quel magico 12 aprile del 1970: quasi che avessero fatto un patto d'acciaio e d'amicizia. Ma voi ce lo vedete uno dei bomber miliardari di oggi che cambia casacca ogni dodici mesi (dopo averla baciata) che tra quarant'anni va in lacrime al funerale di un suo compagno di squadra?
Nando Mura