Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Piergiorgio Odifreddi, la geometria è dappertutto

Fonte: L'Unione Sarda
21 novembre 2011

INCONTRI. Il matematico ha chiuso a Cagliari il Festival della Scienza

«Cacciari mi chiama nipotino di Voltaire, è un onore»
C'è spazio per tutti, assicura Piergiorgio Odifreddi nel suo grande racconto della geometria. C'è spazio per tutti: non ieri a Palazzo Viceregio, dove i cagliaritani accorsi ad ascoltarlo erano talmente tanti (e tantissimi gli studenti) che molti sono stati costretti ad andar via. Ma tant'è, sono i paradossi dell'attrazione che sa suscitare il matematico piemontese, invitato da Carla Romagnino a chiudere in bellezza il Festival della scienza.
Tre ore prima del suo lungo, affascinante viaggio attraverso la geometria e la matematica, sintetizzato nel suo libro più recente, il matematico impertinente che da bambino voleva fare il papa azzanna un toast nel bar del THotel. È appena arrivato in città e si presta con incauta gentilezza al rito dell'intervista. Il cameriere non lo sa, ma quella confezione di the al gelsomino a forma di piramide che ha appena poggiato sul tavolino del professore è la conferma che la geometria è davvero dappertutto. «Basta saper leggere il libro dell'universo».
La più concreta delle scienze, e anche la più utilitaristica. In Egitto, lei scrive, fecero ricorso alla geometria per riordinare i terreni dopo le esondazioni periodiche del Nilo...
«Vero, ma in India furono motivi religiosi a provocare l'interesse per la materia, e gli arabi la utilizzarono per l'arte. Quanto ai greci, avevano il gusto della simmetria, cercavano le forme nella natura. Sezioni coniche, ellissi, cerchi, parabole, iperboli, duemila anni più tardi sarebbero stati usati per descrivere le orbite dei pianeti».
Il racconto della geometria, ci racconta, è simile al viaggio di ritorno di Ulisse a Itaca: un viaggio verso la ragione.
«La matematica in generale e la geometria in particolare sono l'espressione di quel pensiero apollineo, razionale, che in Grecia si confrontava col dionisiaco. Pensiamo soltanto ai solidi platonici usati nel Timeo per descrivere il mondo. Il tetraedro rappresentava il fuoco, l'esaedro la terra, l'ottaedro l'aria, l'icosaedro l'acqua e il dodecaedro la forma dell'universo».
Quali rapporti ci sono tra la geometria e la musica?
«Dipende. In quella barocca e in quella dodecafonica, gli spartiti vengono usati nelle quattro maniere geometriche, si prende lo spartito diritto, lo si inverte, lo si suona al contrario, lo si guarda controluce. Canone inverso, retrogrado, retrogrado inverso... Sono i modi in cui la musica barocca costruisce le sue composizioni e ugualmente la dodecafonia».
Da bambino qual era il suo gioco preferito?
«Il meccano. Harold Kroto, Nobel per la chimica, mi ha confessato in un'intervista che anche lui amava il meccano. Si usava il cervello, ma anche le mani erano coinvolte. Ora al computer la manualità è scomparsa».
Cinquant'anni dopo, è ancora valida secondo lei la denuncia di Charles Snow sulla distinzione tra le due culture, umanistica e scientifica?
«Temo di sì, anche se sono sempre più numerosi i tentativi di farle incontrare. Io ci provo».
Per la verità voi scienziati vi date da fare più degli umanisti.
«Lo diceva anche Snow. Se uno scienziato non conosce Dante o Musil è un ignorante, se un umanista non sa nulla di Pitagora o Euclide è meno asino».
La scuola non fa molto per far amare matematica e geometria...
«Vero, dovrebbe dipendere dai programmi, dal metodo di insegnamento, dai professori, dal ministro. Ma così è».
Che rapporti ha con la filosofia?
«Sono attratto da quella critica, analitica diremmo oggi, che va da Aristotele a Kant, mi piace meno quella di un certo Platone, la filosofia dei valori, l'esistenzialismo».
Chissà con quale sospetto vede i maestri del sospetto.
«Soprattutto gli epigoni italiani, Severino, Cacciari. Con Cacciari ci punzecchiamo sempre, lui mi chiama nipotino di Voltaire ma per me è un grande onore. Ora sto leggendo un libro di mio zio (o è mio nonno?) “Il secolo di Luigi XIV”. Era un grande scrittore, un divulgatore scientifico. Il più bel libro scritto su Newton è suo e di Madame de Chatelet. Ho cercato di farlo tradurre qui in Italia, ma non ci sentono. Eppure è un capolavoro».
Noi esseri umani siamo a metà strada tra caso e necessità?
«La matematica ha fatto un grande passo avanti quando ha scoperto il “caso necessario”, i frattali. Anche se il risultato sembra casuale, il caso è derivato da leggi deterministiche. Dei frattali mi occuperò nel terzo libro della geometria. Il secondo, “Via di fuga”, sulla prospettiva, esce tra qualche giorno».
Mi spiega la frase di Einstein “Dio non gioca a dadi con l'universo”?
«Se Dio è creatore nulla è casuale, ma il dio di cui parla Einstein è diverso da quello delle religioni rivelate, è il Logos, il dio di Pitagora...»
Quello che lei sceglierebbe, insomma, se fosse costretto a sceglierne uno?
«Molti pensano che Dio possa essere nelle leggi dell'Universo, un dio matematico. Una sorta di grande architetto del mondo. E questo in fondo può anche andar bene».
Piacerebbe anche al “nonno”?
«Voltaire non era ateo, era deista, ma ce l'aveva a morte con cristiani ed ebrei. Io penso che il dio meno all'altezza delle aspettative sia proprio quello costruito a nostra immagine. Il dio di Spinoza, deus sive natura, è più vicino all'idea accettabile di dio».
La perfezione della natura però fa pensare che Dio esista...
«Non mi pare che la natura sia così perfetta. Siamo molto malfatti, manchiamo di pianificazione, Darwin perse la fede quando cominciò a capire come funzionava il processo di evoluzione. I mutamenti sono casuali, non determinati, Non c'è un progettista, e più la natura ha a che fare con la vita più è lasciata al caso. La mancanza di un progetto si vede proprio nelle parti della natura dove i credenti pensano di trovarla. C'è più Dio nei moti delle galassie che nell'uomo. Ma la seconda concezione è decisamente maggioritaria».
Maria Paola Masala