«Il Dormiente», «La Campana» e il «Busto di Satta» offerte in comodato d’uso al Museo
WALTER PORCEDDA
L’aneddotica familiare riporta il ricordo che Emilio Lussu nei suoi blitz cagliaritani andasse sovente a casa dello scrittore e saggista Mario Ciusa Romagna e lì chiedesse di stare in contemplazione solitaria davanti alla statua del «Dormiente», un bambino colto nell’atto privato di un distaccato e sereno riposo. Il padre dell’autonomia e autore di scritti di respiro sociale e politico come «Un anno sull’altipiano» dicono che passasse addirittura ore a rimirare l’opera dello scultore Francesco Ciusa. Quasi fosse specchio di una identità da interrogare e con cui confrontare nel profondo dell’anima le proprie idee, condividendo tormenti e interrogativi. Quel bronzo, che nel 1909 vinse il Premio Città di Firenze (recuperata in modo avventuroso molti anni dopo in Continente dallo scrittore e nipote dell’artista), d’altra parte ha in qualche modo la stessa forza e per molti versi l’aurea di quel gigantesco capolavoro che Ciusa realizzò a 24 anni appena, il gesso de «La madre dell’ucciso» con il quale si impose all’attenzione internazionale nella Biennale del 1907 a Venezia, superando persino autorità del valore di Auguste Rodin.
Opere in cui è la stessa Sardegna a mostrarsi per la prima volta fuori dall’isola. Come osserva la critica d’arte Giuliana Altea nel suo volume «Francesco Ciusa» edito dalla Ilisso, l’opera di questo artista «assume per il mondo intellettuale sardo del primo Novecento un valore quasi mitico». Contemporaneo di Grazia Deledda e Sebastiano Satta fa parte di una nuova leva di intellettuali che si presenta al mondo. Soprattutto nell’opera di Ciusa, osserva ancora Altea, sembrano fondersi la cultura dei tagliapietre e la tecnica degli scultori accademici. L’artista «riesce a mettere in rapporto due realtà sino a quel momento incomunicanti, quella agropastorale e quella urbana, a far scattare tra loro una scintilla che avrà conseguenze creative importanti». E da lì a poco insomma «il mondo popolare sardo avrebbe finalmente trovato un artista che sapesse dargli voce».
Opere emblematiche di una terra in cerca di riscatto. E che andranno a completare da oggi un percorso poetico di respiro, «La scultura e l’anima», nella sala sarda della Galleria d’arte moderna ai Giardini pubblici di Cagliari, grazie a tre opere offerte in comodato d’uso gratuito al Museo dai familiari dell’artista. Sono appunto il «Dormiente» assieme a «La Campana» (1922-23) e «Il Busto di Sebastiano Satta» (1928-30). Opere differenti tra loro ma che illustrano bene altrettanti periodi stilistici e tematici dello scultore che grazie alle altre sculture presenti in Galleria potranno offrire uno sguardo ampio e, per certi tratti inedito, sull’opera dello scultore. Oltre alla celebre «Madre dell’ucciso» per l’occasione saranno esposti i legni «Il falconiere» (1948), «Prime acque di maggio», «L’adolescente» e «La Madonnina» acquisiti dal Comune negli anni Novanta.
Significativo che le opere di Ciusa trovino casa nella Galleria che - come ha ricordato ieri la direttrice Annamaria Montaldo, curatrice anche della esposizione - tra le sue prime acquisizioni sei anni dopo la sua fondazione (1933) fece proprio quella dei Grandi Gessi dello scultore di origine nuorese.
Opere salvate fortunatamente, assieme ad altre, dai bombardamenti del 1943 perchè furono custodite all’interno delle grotte vicine alla Galleria e dove l’attuale direttrice rinvenne nel 1995 una splendida «Pietà» della quale si erano perse le tracce. Mentre purtroppo andò completamente distrutto lo studio dell’artista nella centrale via Alghero proprio a causa di quei bombardamenti. Insomma un legame forte quello tra Ciusa e la Galleria dove, oltre al gesso de «La madre dell’ucciso» si possono ammirare altre opere dello scultore: i gessi «Il bacio», «La filatrice», «Il Cainita», «Dolorante anima sarda», «Il Nomade», «Il giuramento» e il bronzo «Bontà».