Il vicesegretario lascia dopo ventitré anni il Comune: «Cagliari è cambiata tanto»
Da ieri è in pensione, sarà commissario ad Arzachena
Vedi la foto Sei sindaci e due commissari, un salto lungo ventitré anni con vista su via Roma: «Tre repubbliche e una città cambiata». Francesco Cicero ha chiuso per l'ultima volta ieri la porta del suo ufficio a Palazzo Bacaredda. Pensione per limiti di età: «Sessantasette anni appena compiuti, il tetto massimo per i dirigenti». Lascia il suo posto da vicesegretario e capo di gabinetto al Comune ma le passeggiate ai giardinetti possono attendere. Oggi partirà per la Gallura: sarà commissario ad Arzachena, appena rimasta senza sindaco dopo la caduta di Piero Filigheddu.
Calabrese di Cropalati («ricordo gli ulivi e i fichi»), figlio di contadini, l'eterna sigaretta stretta tra i denti («ma quella è arrivata dopo»), Cicero ha vissuto a Torino e Milano prima di scegliere Cagliari, nel 1973. «Ho cominciato a lavorare come funzionario all'Università, in Giurisprudenza, dove mi sono laureato, e nell'1988 sono entrato al Comune con il concorso per dirigenti». Ha lavorato con De Magistris, Dal Cortivo, Giua, Delogu, Floris. Zedda e con i due commissari (Maniscalco e Balsamo)
Partiamo dalla fine. Ha vissuto dal vivo l'effetto Massimo Zedda.
«Una svolta importante. È la dimostrazione di un passaggio generazionale in città, quasi un cambio di mentalità che prescinde dall'essere di sinistra o di destra. È stata rottamata la vecchia classe dirigente».
Un aggettivo per il sindaco.
«Due. Giovane ed entusiasta. Ha una gran voglia di fare bene».
Torniamo indietro. Emilio Floris.
«Un politico vero. Un grande mediatore».
Prima c'era Mariano Delogu.
«Efficiente e decisionista, con un grande rispetto della cosa pubblica».
Amico di Cicero.
«Senza alcun dubbio. Con Delogu si è creato da subito un rapporto particolare. Sono diventato vicesegretario con lui. Anche a quei tempi c'è stata una svolta simile a quella attuale».
Prima Repubblica. Roberto Dal Cortivo.
«È stato sindaco in un periodo non bello, erano i tempi in cui stava arrivando Tangentopoli. Ma ho ricordi relativi, allora non ero capo di gabinetto».
Ninni Giua.
«Idem come sopra. Anche lui ha vissuto una situazione difficile. Con entrambi c'è stata però massima collaborazione».
Lei è entrato in Comune ai tempi di “don Paolo”.
«Ricordo De Magistris come un uomo di grande cultura».
Senza dimenticare i due commissari prefettizi.
«Renzo Maniscalco, siciliano, un galantuomo d'altri tempi. Giovanni Balsamo, l'attuale prefetto, un rigoroso senso della legge e rispetto dei ruoli».
Pentapartito, centrodestra, centrosinistra. Ma Cicero da che parte sta?
«Mi sono sempre sentito lontano dalla politica attiva. Penso solo a servire le istituzioni».
Ma la politica ce l'ha in casa. È sposato con Ada Lai, da tempo impegnata con il centrodestra.
«A casa non parliamo mai di politica, abbiamo creato una sorta di zona franca».
Neanche un consiglio di tanto in tanto?
«Gliene ho dato uno all'inizio. Non entrare in politica. Ma non mi ha dato retta».
Qual è il suo ricordo più bello in via Roma?
«Quando è venuto Ciampi. Ha visitato il Comune, era il 2000. Una grande emozione, anche perché avevo partecipato alla parte organizzativa insieme ai cerimonieri del Quirinale».
Momenti brutti?
«Non ho ricordi di questo tipo».
Le ha pesato la storia dei pass per lo stadio?
«In che senso?»
Si è fatto carico della svista sull'elenco degli ospiti al Sant'Elia, è finito in mezzo allo scontro Zedda-Farris.
«Ero il capo di gabinetto, avevo la responsabilità».
Ha coperto un errore del suo ufficio?
«Ripeto. Mi sono preso le mie responsabilità».
Che città lascia?
«In questi anni Cagliari è profondamente cambiata. C'è una maggiore organizzazione, sono migliorati i servizi. I cittadini hanno anche più consapevolezza della qualità della città».
Ora andrà ad Arzachena a fare il commissario del Comune.
«Parto subito».
Neanche un giorno di vacanza?
«Una coincidenza incredibile. Cambio lavoro da un giorno all'altro. Per fare i commissari i dirigenti degli enti locali devono essere in pensione. Più tempismo di così».
Giulio Zasso