Appello del responsabile della Caritas, don Marco Lai, durante la presentazione del dossier 2011 sull'immigrazione «Là dentro condizioni di vita insopportabili. Tentativi di suicidio tenuti nascosti, avvenuti nell'indifferenza istituzionale» Il Centro di accoglienza di Elmas va chiuso" perché le condizioni di vita là dentro sono "insopportabili". Larichiesta arriva dal responsabile diocesano della Caritas, don Marco Lai, durante la presentazione del dossier 2011 sull'immigrazione in Italia. Il sacerdote parla nel teatro di Sant' Eulalia, di fronte a una platea dove siedono anche il prefetto Giovanni Balsamo e gli assessori comunale e provinciale alle Politiche sociali, Susanna Orrù e Angela Quaquero.Nonsi tratta di una sortita sull'onda dell' emozione, bensì di una posizione ufficiale. Don Lai spiega infatti che "la Chiesa denuncia i tempi troppo lunghi di permanenza nella struttura, lunghi fino allo stress. Nella palazzina dentro l'aeroporto di Elmas vi sono stati persino tentativi di suicidio tenuti nascosti, avvenuti nell'indifferenza istituzionale". Parole forti, che trovano però spazio anche nel rapporto diffuso ieri in contemporanea in tutta Italia, all'interno del quale vi è proprio un paragrafo dedicato al "Centro di accoglienza di Elmas fra emergenza e inadeguatezza". Vi si ricorda che sia parlamentari che associazioni, come tanti semplici cittadini, datempo sollecitano l'abbandono della struttura, posta tra l'altro a poche decine di metri dalla pista di atterraggio, tanto che i "ripetuti tentativi di fuga" hanno condotto in diverse occasioni alla chiusura dello scalo aereo. Masoprattutto, accusa la Caritas, là dentro la vita non è dignitosa, perché non è accettabile rinchiudere "fino a tre, quattrocento persone dentro unacaserma in condizioni disumane". Avviene non solo all'aeroporto, ricorda don Lai, ma è accaduto anche l'estate scorsa "nella ex caserma dell'Aeronatica a Cagliari, in viale Elmas, dove centinaia di persone provenienti da Lampedusa sono state relegate per diverso tempo". Il direttore della Caritas non fa giri di parole. "La Chiesa denuncia - e ripete più volte il termine "denuncia" - il fatto che le autorità hanno incanalato tutte le persone provenienti dalla Libia nel percorso di richiesta d'asilo, senza tener conto delle loro diverse nazionalità, sapendobene che moltinon ne avevano diritto e creando così coscientemente le condizioni per un diniego. Abbiamo accertato che almeno il quaranta per cento di queste personenonpotevano ottenere asilo: eppure si è proceduto comunque in tale maniera, mentre si sarebbero potute trovare soluzioni diverse". Centri di accoglienza come carceri, per persone che nessuna colpa hanno se non quella di fuggire da guerra e miseria. All' interno di un flusso, quello dalla Libia e dagli altri Paesi del Nord Africa, che secondo don Lai "è stato caricato eccessivamente dai media", creando così unfondo di timore tra la popolazione e accentuando i toni di un fenomeno che "non può essere visto come un'emergenza costante". Ad avviso della Caritas i tempi sono maturi affinché si arrivi a "sancire un diritto all'emigrazione senza se e senza ma", in un contesto di idonee strutture, materiali e sociali. La prima fase, quella dell'accoglienza, va quindi gestita "non dentro caserme, ma in piccole realtà di non più di dieci persone, come quelle che la Caritas ha aperto anche a Cagliari: insediamenti abitativi a misura d'uomo, dove la persona non è segregata né isolata dalla comunità locale". Sulla stessa linea della Caritas si muove la Provincia, spiega l'assessore Angela Quaquero: "Al momento diamo accoglienza temporanea a 96 rifugiati all'interno di sedici appartamenti, grazie anche alla collaborazione con sei associazioni". Solo in questi piccoli contesti è possibile gestire, ricorda don Lai, "i traumi vissutida unapersona sradicata dalla propria terra e dai propri affetti e iniziare un percorso di apprendimento e di formazione che possa poi sfociare nell'inserimento pieno nella nostra società". (ma.mo.)