SINDACO ZEDDA, E LA LINGUA SARDA?
Quindici anni dopo la Dichiarazione Universale dei Diritti Linguistici ilPENInternational, la maggiore organizzazione mondiale degli scrittori, ha prodotto un Manifesto dei Diritti Linguistici, detto Manifesto di Girona, approvato il 15 Maggio 2011, che ci riguarda molto da vicino. In esso si ricorda l'importanza della diversità linguistica non solo sotto il profilo della sua tutela (come la nostra Costituzione ancora, in modo un po' superato, recita) ma come contesto al cui interno si formano personalità, individualità, che hanno diritto al rispetto e alla parità. Il Manifesto enuclea i maggiori diritti linguistici delle minoranze in alcuni punti, fra cui ricordo: l'uso ufficiale sul territorio in cui si parla; il fatto che la scuola debba contribuire al prestigio delle lingue minoritarie (e non al loro discredito ed alla stigmatizzazione o espulsione/bocciatura di chi le parla, come è avvenuto e ancora avviene in Sardegna); la diffusione della conoscenza delle lingue di minoranza anche fra chi non le parla, in modo che il plurilinguismo non sia asimmetrico come avviene spesso in alcune aree abitate da minoranze; l'uso nei media. Infine, gli scrittori si appellano all'Onu perché sancisca in modo ufficiale il diritto di tutti alla parità linguistica. Viviamo un momento interessante per i diritti linguistici. Improvvisamente, fuori dall'Europa si assiste a un risveglio generale e a un loro maggiore riconoscimento. La Bolivia si è recentemente trasformata, prima fra gli Stati sudamericani, in uno Stato fondato sulla parità delle lingue proprie con la lingua coloniale, lo spagnolo. Ma in tutta l'America Latina (e anche negli Stati Uniti e in Canada) si assiste a un movimento in questo senso, ed è come se dopo Cinquecento anni di sonno, tanti stermini e pulizie etniche, questi popoli si stiano alzando e stiano reclamando una parità non solo economica, ma anche simbolica e culturale, perché tutti hanno diritto ad essere rispettati per quello che sono.Un altro risveglio impressionante è quello berbero, cioè delle popolazioni originarie del Nord Africa, che abitano, ormai minoritarie rispetto agli arabi insiediatisi in quelle Terre a partire dalla conquista islamica, un'area che va dall' Oceano Atlantico all'Oasi di Siwa, in Egitto. Chiunque ha potuto assistere alla presenza berbera nelle Primavere nordafricane, fra cui quella libica, e della lingua berbera sui pick-up dei rivoltosi (riconoscibile da un alfabeto proprio di origine tuareg, recentemente standardizzato). Ma quanto il tema sia sentito e vada a braccetto con la rivoluzione democratica è mostrato dalla nuova Costituzione marocchina octroyée dal re Mohamed VI, che parifica come lingua ufficiale la lingua tamazight (berbera), parlata da circa il 30% della popolazione, a quella araba, sull'intero territorio marocchino. In Algeria, ormai quasi 300.000 studenti sono scolarizzati in tamazight, che sino alla fine del Novecento era bandita da qualsiasi forma di riconoscimento. Nella stessa Europa, si assiste a fenomeni come la tutela su tutto il territorio scozzese del gaelico, pertanto estintosi dalla parte meridionale del Paese già nel XVI secolo, e ormai parlato solo da una porzione limitatissima della sua popolazione in qualche isolotto battuto dai venti. E noi? Noi, dopo le speranze che anche in questo ambito aveva acceso la Giunta Soru, in particolare nel periodo in cui Maria Antonietta Mongiu se ne occupò come Assessore, ci stiamo nuovamente allontanando dal processo di democratizzazione e di liberazione che tocca il mondo moderno. Stiamo dimenticando che l'eguaglianza e la parità dei diritti, il riconoscimento delle culture emarginate e stigmatizzate, non sono mai un problema secondario, ma in qualche misura rappresentano il cuore e la radice di ogni altra uguaglianza. Il Sindaco Zedda, nelle sue dichiarazioni programmatiche, si è dimenticato ogni riferimento a questo problema. E' chiaro che i problemi di Cagliari sono profondi e gravi,maindicare delle priorità solo materiali e dimenticarsi che Cagliari è in Sardegna e che come tutta la Sardegna deve porsi il problema di sviluppare armonicamente ogni aspetto della sua cultura, senza gerarchizzazioni e senza esclusioni (se vuole uscire da una situazione di subalternità non sono materiale ma anche simbolica e culturale), significa tornare indietro alla cultura politica di più di vent'anni fa, significa fare una scelta da anni Settanta, non considerare importanti i diritti. Si tratta inoltre di una scelta che danneggia il dialogo esistente fra la sinistra e i Sardi che hanno a cuore questi temi, e si tratta di un messaggio che svaluta e irride alla cultura del popolo e al suo bisogno di essere riconosciuta e liberata da ogni stigma. Personalmente, voglio credere che si tratti di una dimenticanza, e auspico che al più presto la Giunta Zedda assuma una posizione dialogante e non di chiusura rispetto a queste tematiche.
Quindici anni dopo la Dichiarazione Universale dei Diritti Linguistici ilPENInternational, la maggiore organizzazione mondiale degli scrittori, ha prodotto un Manifesto dei Diritti Linguistici, detto Manifesto di Girona, approvato il 15 Maggio 2011, che ci riguarda molto da vicino. In esso si ricorda l'importanza della diversità linguistica non solo sotto il profilo della sua tutela (come la nostra Costituzione ancora, in modo un po' superato, recita) ma come contesto al cui interno si formano personalità, individualità, che hanno diritto al rispetto e alla parità. Il Manifesto enuclea i maggiori diritti linguistici delle minoranze in alcuni punti, fra cui ricordo: l'uso ufficiale sul territorio in cui si parla; il fatto che la scuola debba contribuire al prestigio delle lingue minoritarie (e non al loro discredito ed alla stigmatizzazione o espulsione/bocciatura di chi le parla, come è avvenuto e ancora avviene in Sardegna); la diffusione della conoscenza delle lingue di minoranza anche fra chi non le parla, in modo che il plurilinguismo non sia asimmetrico come avviene spesso in alcune aree abitate da minoranze; l'uso nei media. Infine, gli scrittori si appellano all'Onu perché sancisca in modo ufficiale il diritto di tutti alla parità linguistica. Viviamo un momento interessante per i diritti linguistici. Improvvisamente, fuori dall'Europa si assiste a un risveglio generale e a un loro maggiore riconoscimento. La Bolivia si è recentemente trasformata, prima fra gli Stati sudamericani, in uno Stato fondato sulla parità delle lingue proprie con la lingua coloniale, lo spagnolo. Ma in tutta l'America Latina (e anche negli Stati Uniti e in Canada) si assiste a un movimento in questo senso, ed è come se dopo Cinquecento anni di sonno, tanti stermini e pulizie etniche, questi popoli si stiano alzando e stiano reclamando una parità non solo economica, ma anche simbolica e culturale, perché tutti hanno diritto ad essere rispettati per quello che sono.Un altro risveglio impressionante è quello berbero, cioè delle popolazioni originarie del Nord Africa, che abitano, ormai minoritarie rispetto agli arabi insiediatisi in quelle Terre a partire dalla conquista islamica, un'area che va dall' Oceano Atlantico all'Oasi di Siwa, in Egitto. Chiunque ha potuto assistere alla presenza berbera nelle Primavere nordafricane, fra cui quella libica, e della lingua berbera sui pick-up dei rivoltosi (riconoscibile da un alfabeto proprio di origine tuareg, recentemente standardizzato). Ma quanto il tema sia sentito e vada a braccetto con la rivoluzione democratica è mostrato dalla nuova Costituzione marocchina octroyée dal re Mohamed VI, che parifica come lingua ufficiale la lingua tamazight (berbera), parlata da circa il 30% della popolazione, a quella araba, sull'intero territorio marocchino. In Algeria, ormai quasi 300.000 studenti sono scolarizzati in tamazight, che sino alla fine del Novecento era bandita da qualsiasi forma di riconoscimento. Nella stessa Europa, si assiste a fenomeni come la tutela su tutto il territorio scozzese del gaelico, pertanto estintosi dalla parte meridionale del Paese già nel XVI secolo, e ormai parlato solo da una porzione limitatissima della sua popolazione in qualche isolotto battuto dai venti. E noi? Noi, dopo le speranze che anche in questo ambito aveva acceso la Giunta Soru, in particolare nel periodo in cui Maria Antonietta Mongiu se ne occupò come Assessore, ci stiamo nuovamente allontanando dal processo di democratizzazione e di liberazione che tocca il mondo moderno. Stiamo dimenticando che l'eguaglianza e la parità dei diritti, il riconoscimento delle culture emarginate e stigmatizzate, non sono mai un problema secondario, ma in qualche misura rappresentano il cuore e la radice di ogni altra uguaglianza. Il Sindaco Zedda, nelle sue dichiarazioni programmatiche, si è dimenticato ogni riferimento a questo problema. E' chiaro che i problemi di Cagliari sono profondi e gravi,maindicare delle priorità solo materiali e dimenticarsi che Cagliari è in Sardegna e che come tutta la Sardegna deve porsi il problema di sviluppare armonicamente ogni aspetto della sua cultura, senza gerarchizzazioni e senza esclusioni (se vuole uscire da una situazione di subalternità non sono materiale ma anche simbolica e culturale), significa tornare indietro alla cultura politica di più di vent'anni fa, significa fare una scelta da anni Settanta, non considerare importanti i diritti. Si tratta inoltre di una scelta che danneggia il dialogo esistente fra la sinistra e i Sardi che hanno a cuore questi temi, e si tratta di un messaggio che svaluta e irride alla cultura del popolo e al suo bisogno di essere riconosciuta e liberata da ogni stigma. Personalmente, voglio credere che si tratti di una dimenticanza, e auspico che al più presto la Giunta Zedda assuma una posizione dialogante e non di chiusura rispetto a queste tematiche.